Un bail-in mascherato che rischia di tramutarsi in bail-in vero e proprio se i risparmiatori si rifiuteranno di convertire le obbligazioni subordinate in azioni MontePaschi. A tanto si è arrivati dopo un’estate di pensamenti e ripensamenti sul piano di salvataggio e vani tentativi di trovare una copertura sul mercato all’aumento di capitale da 5 miliardi dell’istituto senese. In prima battuta gli advisor della banca (Jp Morgan e Mediobanca) e il Tesoro (primo azionista con il 4%) avevano pensato di proporre la conversione “volontaria” dei bond in azioni ai soli investitori istituzionali in modo da ridurre l’importo dell’aumento di capitale da 5 a 3 miliardi. Poi si è capito che solo in pochi avrebbero aderito e che la fatica di racimolare 3 miliardi sul mercato sarebbe stata vana, mancando comunque all’appello i restanti 2 miliardi. Dunque, come ha comunicato il consiglio d’amministrazione dell’istituto, l’offerta di conversione verrà allargata a tutti i detentori di bond, cioè anche ai risparmiatori – in massima parte correntisti del MontePaschi – che hanno in portafoglio titoli subordinati per oltre 2 miliardi di euro, vale a dire quasi il 50% delle emissioni di questo tipo effettuate dalla banca (4,5 miliardi in tutto).

I particolari dell’operazione sono ancora formalmente allo studio soprattutto per le implicazioni legali, ma l’idea sottostante è semplice: “o ci state o perdete tutto”. Infatti, se l’aumento di capitale non andrà in porto sarà pressoché inevitabile il ricorso al bail-in con il conseguente azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate, per poi eventualmente toccare le obbligazioni senior e i conti correnti per la parte superiore ai 100mila euro. Insomma, quella che arriverà a dicembre – ammesso che nel frattempo la situazione non peggiori – sarà la classica offerta che “non si può rifiutare”. Ma serviva davvero perdere altre settimane per cambiare amministratore delegato se la sorte di Siena era già segnata? Marco Morelli, il nuovo ad, era stato venduto da Jp Morgan come il segnale di discontinuità che avrebbe indotto gli investitori a mettere capitali freschi nell’istituto, in realtà sarà colui che punterà la pistola alla tempia di centinaia di migliaia di famiglie che sono state indotte a sottoscrivere i bond subordinati dalla loro banca nel lontano 2008, quando Siena aveva bisogno di soldi per condurre a termine la sciagurata acquisizione di Antonveneta.

E non è detto che la conversione “volontaria” dei bond sia sufficiente: oltre ai ritardi (il piano industriale non sarà pronto prima del 24 ottobre) e alle difficoltà oggettive del piano di salvataggio (c’è una maxi operazione di cartolarizzazione delle sofferenze che è ancora tutta da fare), nuove nuvole di tempesta si addensano sul sistema bancario e portano il nome di Deutsche Bank. L’acuirsi della crisi del colosso tedesco rischia di pesare sul settore bancario europeo ed italiano ben più dell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre e potrebbe avere effetti potenzialmente devastanti in un momento critico, in cui diverse banche devono ricapitalizzare. Il governo, che nella vicenda di Siena porta gravi responsabilità, tace e crede forse di riuscire a vendere il bail-in mascherato di MontePaschi come un’operazione positiva o almeno come il male minore. L’ennesima sottovalutazione di una crisi rischia di far definitivamente saltare il tappo e di cancellare in un istante la residua fiducia nel sistema con conseguenze gravissime per il Paese.

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