Un fiume in piena,  (Paco Ignacio Taibo II (PIT II), quando parla dei suoi prossimi lavori, delle ispirazioni che hanno caratterizzato i suoi romanzi e delle differenze riscontrate nella stesura di un testo storico rispetto a un testo letterario. Siamo nel centralissimo Corso di Porta Ticinese, a Milano, davanti alla libreria Verso, a fumare sigarette cubane in attesa della presentazione del suo ultimo romanzo, La bicicletta di Leonardo, ripubblicato in questi giorni da La Nuova Frontiera (traduzione di Pino Cacucci e Gloria Corica), ennesima dimostrazione della maestria dell’autore messicano di scrivere storie nella storia. “Avevo molti spunti nell’armadio: le invenzioni di Leonardo, il narcotraffico, le crisi di uno scrittore, la Barcellona pre-repubblicana, e la forte volontà di metterle insieme per cercare di creare un collante tra passato e presente”.

Il romanzo si sviluppa su tre livelli temporali differenti: Leonardo da Vinci, alle prese con il progetto della prima bicicletta; un pistolero anarchico nella Barcellona degli anni Venti; una giocatrice di basket texana rapita per espiantarle clandestinamente un rene, sui quali emerge uno strambo e riuscitissimo Josè Daniel Fierro, romanziere messicano con una gamba ingessata e in crisi d’identità creativa, nipote dell’anarchico catalano e con un’ossessione erotica per la cestista lentigginosa, che si improvvisa detective.

Fierro va a Ciudad Juárez in cerca di indizi, mentre prima, il 30 aprile del 1975, Jerry, agente della Cia assisterà alla liberazione di Saigon da parte dell’esercito nordvietnamita, poi lo ritroveremo a New York, al Chelsea Hotel di artistica memoria, e ancora prima, molto prima, intorno al al 1493, leggeremo di Leonardo, chino su un foglio, con in mano una matita a carboncino, a disegnare quello che può essere definito il progenitore della bicicletta moderna.

E, a questo punto, dopo, seguiremo le scorribande di Ángel del Hierro, sindacalista giustiziere dei nemici del popolo, che nella Barcellona degli anni Venti firmava le sue vendette proletarie con il simbolo della bicicletta leonardesca. E non è tutto qui, avremo anche uomini che lavorano nelle zone d’ombra della storia, prostitute coraggiose, trafficanti bulgari (“Perché per un messicano un bulgaro è qualcosa di assolutamente esotico”), e questo marasma di fatti passati e presenti convergeranno in un unico luogo, il Messico, appunto, dove si troverà, in modo imprevedibile e sagace, il bandolo della matassa.

Nel romanzo confluiscono il gusto dell’assurdo e al contempo iperrealista di certa narrativa poliziesca nordamericana, un’influenza di pensare a una trama alla maniera di John Dos Pasos (basti pensare a The 42nd Parallel), al realismo letterario di Victor Hugo. Storie che si intrecciano, si scompongono, per poi convergere definitivamente in un sentiero comune. Una struttura che avanza e al contempo si disgrega in molti punti di vista differenti”.

Come in altri suoi lavori precedenti Ombre nell’ombra, La lontananza del tesoro, Ritornano le ombre, A quattro mani, anche in La bicicletta di Leonardo compaiono avvenimenti storici probabilmente sconosciuti a lettori molto giovani, ma per PIT II la forza della narrativa è proprio questa, il difendere la storia dalla cattiva memoria: “Viviamo in un mondo dove l’informazione massmediatica è rumore, non produce nulla di buono. La letteratura che racconta storie, così come fatto in passato dai grandi giornalisti investigativi come Ricardo Walsh, Hunter S. Thompson, Ryszard Kapuściński, puoi aiutare a riappassionarsi ai valori del vivere comune”.

Le sigarette cubane sono finite, regalo a PIT II il mio ultimo romanzo (Quando le chitarre facevano l’amore), e non solo perché un personaggio si chiama come lui (un sosia cieco del presidente del Guatemala del 1968 che sogna di diventare il più grande attore dopo Charles Bronson), ma perché gli devo molto come autore, e ci salutiamo con un “Grazie, caro collega”, e con la promessa di rivederci “O qui o in Messico”. La presentazione incomincia, la bicicletta leonardesca inizia a pedalare, alla conquista della sana, vecchia narrativa popolare.

Articolo Precedente

Edizioni del Baldo, contro i colossi delle librerie servono indipendenza e idee chiare

next
Articolo Successivo

Libri, l’unico (e banale) comandamento è ‘be nice’. E John Niven spiega perché

next