Tempi duri per i pensionati italiani che hanno scelto di dimorare in lidi lontani. E anche per chi sogna di trasferirsi all’estero con una piccola pensione tassata oltreconfine meno di quanto non lo sia in patria. Da un lato c’è il rischio sempre più concreto che gli Stati europei optino per l’imposizione alla fonte sulle pensioni cassando d’un solo colpo i vantaggi di chi sceglie un Paese fiscalmente più attraente. Dall’altro c’è da fare i conti con gli accordi bilaterali sull’imposizione fiscale e gli effetti della crisi economica. Sullo sfondo restano poi mille dubbi che si aprono in un’Europa sempre più frammentata per chi ha versato o sta versando i contributi in giro per i Paesi dell’Unione. “E’ un grosso problema di cui non si ha contezza – spiega Andrea Malpassi, sindacalista responsabile estero Inca Cgil– L’Aire (il registro degli italiani all’estero, ndr) descrive infatti solo una parte del movimento di lavoratori in Europa. Secondo le nostre stime per ogni nuova adesione all’Aire, ce ne sono almeno altre tre che sfuggono al censimento per inerzia o perché magari la permanenza lavorativa all’estero è inferiore ad un anno”.

Il tema pensioni all’estero, oggi e domani, rischia insomma di essere un gran caos. Tanto più che in Europa già si registrano episodi di “nazionalismo fiscale e sociale”. “Il Belgio sta mandando a casa nostri concittadini che, dopo aver versato i contributi nel periodo lavorativo sono poi rimasti senza lavoro e chiedono l’accesso ai sussidi di disoccupazione”, prosegue il sindacalista spiegando di aver già presentato il caso alla Corte di giustizia europea. “Per non parlare del fatto che in Europa, anche se in maniera non coordinata, i vari Stati stanno studiando come bloccare il fenomeno dei pensionati che vanno a vivere nelle aree fiscalmente più interessanti”, aggiunge.

Ma di che numeri stiamo parlando? Ad oggi i pensionati italiani all’estero sono poco meno di 400mila, una popolazione grande quasi come quella di Bologna o Firenze. E’ evidente quindi che non sono loro ad affossare i conti dell’Inps. Anche perché “generalmente chi decide di lasciare l’Italia, lo fa a causa di una pensione bassa rispetto al costo della vita”, puntualizza Malpassi. Senza contare che partire non sempre significa andare incontro a situazioni più floride. Soprattutto di questi tempi. Con la crisi economica che dilaga in ogni angolo del mondo, può accadere infatti che un governo decida di punto in bianco di cambiare le carte in tavola. E’ accaduto in Argentina dove per un certo periodo dopo la crisi del 2001, lo Stato tassava le pensioni al pari di capitali in entrata lasciando ben pochi spicci ai nostri connazionali residenti nel Paese sudamericano. La stessa dinamica si registra oggi in Venezuela dove, sfruttando un doppio sistema di cambio, il governo nazionale tassa pesantemente le pensioni straniere in entrata pagando agli italiani residenti solo lo stretto necessario per sopravvivere. In Brasile invece accade che le pensioni degli italiani residenti vengono pagate al netto di imposte comunali e regionali del Paese d’origine. Una questione che fa discutere da anni perché fra Italia e Brasile c’è un accordo, datato 1978, finalizzato ad evitare la doppia imposizione e solo in minima parte applicato.

Insomma Paese che vai, tassazione e accordi fiscali che trovi. Soprattutto fuori dall’Europa. Per cui prima di partire, meglio informarsi degli accordi bilaterali per evitare brutte sorprese. Più complessa, invece, la situazione per i pensionati di domani. Per loro di certezze ce ne sono davvero poche. Persino all’interno dell’Unione.

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