Ho visto cestini ingombri di rifiuti indifferenziati, cibo sprecato a mensa, pacchetti e imballaggi a go-go, distributori di merendine e bottigliette d’acqua. Ho visto cortili diventati camere a gas, genitori che infilano l’auto in ogni buco, se non si sta attenti entrerebbero pure in classe. Bimbi che devono far lo slalom tra le auto. Un incubo da inizio scuola? No, i paradossi dell’educazione.

Ci sono scuoline nella natura volute da genitori democratici e libertari che però non si preoccupano minimamente di aumentare la distanza percorsa in auto giornalmente. Ci sono agroasili parentali, meravigliosamente immersi nella campagna, dove i piccoli possono giocare con le galline e la paglia ma non possono portare i pannolini lavabili (“troppo brigosi” dicono le maestre).

C’è chi fa con entusiasmo l’outdoor education, chiedendo ai genitori scorte di bicchieri usa e getta, e salviette umidificate. “Ma a che servono?”, chiede qualche mamma titubante di fronte tutto questo spreco di plastica e materiale indifferenziato. “A fare picnic in tutta comodità”, Risponde la maestra stupita.

Ci sono scuole che si fregiano del titolo “riciclone” ma allo stesso tempo hanno la macchinetta distributrice di bibite in bottiglie di plastica e merendine. Ci sono laboratori di educazione ambientale gestiti da chi incenerisce i rifiuti, che insegnano ai ragazzi che incenerire è utilissimo e non fa male alla salute.

Ci sono laboratori di ecologia e riciclo che di fatto sono laboratori in cui materiali vergini, differenziabili e riciclabili (carta, plastica) vengono resi indifferenziabili e molto inquinanti: appiccicati con colla e imbrattati con tempere, sono lavoretti effimeri, che dopo poco finiscono nel cestino dell’indifferenziata, a casa o a scuola.

Ci sono feste scolastiche che producono quintali di rifiuti indifferenziati e di cibo sprecato in appena mezza giornata, in nome della raccolta fondi per la scuola.

Mi chiedo cosa possano capire i bambini e i ragazzi quando studiano sul libro l’ecologia e poi vedono praticato dagli adulti tutto il contrario. Non basta far picinic all’aria aperta per essere scuola ecologica. Non basta fare outdoor education. Non basta essere una scuolina in mezzo al bosco. Il mio è un appello alle presidi, ai prof, ai maestri e ai genitori. Anche se difficile, anche se ci vuole tempo, ci si può provare.

Perché una scuola sia davvero ecologica, che sia statale, parentale o privata, dovrebbe garantire il suo raggiungimento da mezzi pubblici (bus, scuolabus, treno) e permettere l’accesso alle sue vicinanze solo ai mezzi privati sostenibili (bici o piedi). Bisognerebbe fare una raccolta differenziata scrupolosa, in ogni classe, di carta, di plastica, di indifferenziata, di organico. Andrebbero tolti i distributori di bottigliette e di merendine, e introdotto cibo biologico a mensa.

I bambini e le loro famiglie dovrebbero essere incentivati a portare da casa una merenda sana e a rifiuti zero (frutta o verdura). Si potrebbe fare una sorta di gara tra le classi, quale classe è la più virtuosa e produce meno rifiuti in generale. Le gite si potrebbero fare soprattutto in luoghi vicini e raggiungibili a piedi o col treno. Durante i picnic, nelle feste e a mensa andrebbero usate solo stoviglie riusabili e lavabili. Bisognerebbe garantire l’utilizzo di pannolini lavabili ai nidi, e evitare le salviette umidificanti. Anche per colorare andrebbero preferiti i pastelli a legno agli inquinanti pennarelli. E ogni scuola dovrebbe rifornirsi di carta riciclata al 100%.

La scuola dovrebbe diventare un laboratorio per l’applicazione di buone pratiche. Altrimenti il messaggio che si dà ai ragazzi è questo: “Il mondo si sta riscaldando, i problemi ecologici sono tanti (a proposito, imparateli a memoria per domani), ma è troppo faticoso cambiare il nostro stile di vita”.

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