di Tito Borsa

Carissimo Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, le scrivo questa lettera aperta per invitarla a riflettere sulla scelta del suo Comune di querelare il settimanale satirico francese Charlie Hebdo per le due vignette riguardanti il sisma che ha raso al suolo Amatrice e alcuni paesi del centro Italia.

Sicuramente, al di là del loro significato, quelle vignette hanno buttato benzina sul fuoco del dolore per la morte di quasi 300 persone. Questo sarebbe anche vero se non fosse che un’espressione di pensiero, qualunque essa sia, è parte integrante del messaggio che si intende inviare e che va recepito. Forse lei, colpito come è ovvio dalle emozioni dopo il sisma, non ha compreso che quelle vignette non offendevano in alcun modo né le vittime né i sopravvissuti al terremoto, anzi erano una forma di indignazione (ovviamente secondo gli standard di Charlie Hebdo) che cercava — evidentemente con scarsi risultati alla riprova dei fatti — di unirsi al dolore di chi ha perso la casa o i familiari.

Ma, caro sindaco, non voglio perdere tempo a spiegarle una vignetta (che sarebbe un controsenso) perché il vero motivo per cui la sua querela andrebbe ritirata è un altro: come ha inconsapevolmente confermato il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, “Se una comunità così colpita si sente ferita, è giusto che questo abbia anche un risvolto molto concreto come quello di una querela”. In altre parole, l’intervento legale risponde a un’esigenza sociale e questo non va bene: io non so niente di giurisprudenza quindi proverò a fornirle un esempio molto più autorevole.

La Cassazione, nel 2014, ha annullato per avvenuta prescrizione la sentenza di appello che vedeva sul banco degli imputati Stephan Schmidheiny per la questione Eternit. Tra le motivazioni della sentenza veniva mostrato come la richiesta di giustizia fosse stata avvertita “come esigenza sociale” e questo avrebbe portato a violazioni e distorsioni molto gravi. Ovviamente i due casi non hanno nulla in comune, se non il fatto che vengano mescolati il diritto e il bisogno di giustizia di una parte della popolazione. Questo, lo capirebbe chiunque, è contraddittorio perché la legge è — per quanto possibile — oggettiva e uguale per tutti, un sentimento è quanto di più soggettivo ci sia.

La invito a ritirare questa querela perché, se non riguardasse una tragedia, sarebbe più ridicola di una vignetta di Charlie Hebdo: è semplicemente un’azione legale probabilmente nata già persa. Il reato contestato sarebbe quello di diffamazione e, come spiega sul proprio sito web lo studio legale Canestrini di Rovereto (Trento), per questo reato uno dei requisiti è “l’offesa all’altrui reputazione”, ossia “l’opinione sociale dell’onore di una persona, la stima diffusa nell’ambiente sociale, insomma: ciò che gli altri pensano di una persona”, fattore assolutamente assente dalla prima vignetta (quella con le lasagne), ma forse presente nella seconda (quella della mafia).

In questo caso potrebbe sussistere il diritto di satira che, secondo il Codice Civile, “costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica e può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica come accade per la vignetta” ed “esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto ma rimane assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito”. La continenza e la funzionalità, nella vignetta di risposta alle critiche, a mio discutibilissimo parere ci sono, però, ovviamente, sarà chi di dovere a esprimere il suo incontestabile giudizio.

La saluto, sperando che lasci perdere queste battaglie “accessorie” e si concentri completamente sulla ricostruzione del suo splendido Comune.

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