La nostra vita è l’insieme delle scelte che facciamo. È una strada piena di incroci in cui noi orientiamo la direzione in base alla nostra indole. Ma siamo davvero sicuri di poter scegliere? Vivere in Occidente dove la libertà individuale è al centro del pensiero contemporaneo, in cui non ci sono imposizioni dittatoriali che si impongono sul nostro stile di vita ci fa pensare di essere liberi di scegliere. Ma è veramente così?

Secondo l’analisi psicologica di Jonah Berger la maggior parte delle nostre scelte è di fatto dettato dalla società che ci circonda senza che ce ne accorgiamo. Crediamo di scegliere, ma di fatto seguiamo la corrente invisibile in cui siamo immersi.

Ognuno di noi si trova in bilico tra due spinte che lo trascinano apparentemente in direzioni opposte, una è quella a distinguersi dalla massa per rimarcare una propria identità e personalità, l’altra è quella di integrarsi e sentirsi parte di un gruppo o di una collettività senza essere esclusi. Di fatto si finisce quindi con l’assecondare tendenze inconsapevolmente. Come vestirsi, che musica ascoltare, che serie televisive vedere, che libri leggere e addirittura il proprio lavoro: tutte queste decisioni – secondo la tesi di Berger ripresa anche da Oliver Burkeman nei suoi corsivi su The Guardian – sono prese per condizionamento sociale e non in autonomia.

Anche scelte importanti e personali come la scelta del nome di un figlio finisce con il rientrare in questa logica. Ognuno crede di dare un nome originale al figlio, magari non troppo strano, e scopre poi con grande sorpresa che molti bambini nati in quel periodo si chiamano come lui, perché il nome era evidentemente nell’aria. Anche le nostre posizioni politiche sono fortemente influenzate da posizioni preconcette espresse da partiti, movimenti e personalità (opinion leader) in cui ci identifichiamo o di cui ci fidiamo. La tendenza ad essere di destra o di sinistra sarebbe influenzata dalla famiglia, seguendo la tendenza familiare o opponendosi a essa.

Però il fatto che le nostre scelte siano fortemente condizionate dall’ambiente e non prese direttamente da noi non è necessariamente un male. Molte persone vivono con difficoltà il peso di dover prendere decisioni importanti, come quale facoltà scegliere o che lavoro cercare; sapere che la propria scelta non condizionerà particolarmente l’esito della propria vita potrebbe alleviare il “mal di vivere”.

Per ogni decisione che prendiamo rinunciamo a molte altre opzioni, ma alla fine probabilmente la nostra vita non cambia più di tanto, perché la nostra indole, la società che ci circonda e il tempo in cui viviamo non sono parametri che possiamo modificare. Come nel film anni ‘90 Sliding doors, in cui la vita di Gwyneth Paltrow cambiava se riusciva o meno a salire sulla metropolitana, il mutamento è perlopiù illusorio perché alla fine quello che la protagonista è indotta a fare la condurrà allo stesso finale, sia che prenda, sia che perda quella metropolitana.

A una conclusione simile era già giunto Friedrich Nietzsche in Ecce Homo quando parlava di amor fati, ovvero la serenità che deriva dall’accettare ciò che ci accade sapendo che per larga parte non è determinato dal nostro agire. Non che questo compito sia facile, tanto che lo stesso Nietzsche impazzì prima di riuscire a riconciliarsi col proprio destino, ma il suo messaggio rimane profetico.

Inutile dunque crucciarsi per una scelta sbagliata fatta in passato, probabilmente le cose non sarebbero andate diversamente. Che senso ha allora affliggersi per le proprie scelte quotidiane?

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