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Escobar Mania: dai libri alle canzonette inutili. La sottile linea bianca tra Pablo e Dipré

Nella serie tv targata Netflix la ricostruzione storica e l'abbellimento televisivo si sono amalgamati alla perfezione. Ora c'è chi sta tentando (anche con un certo successo) di sfruttare l'onda lunga del trionfo di Narcos per lucrarci: film, libri, canzoni, molti dei quali intrisi di quell'epica distorta di “coca e mignotte” che, appunto, è più adatta ai deliri di Diprè che a una rivisitazione, anche solo artistica e non necessariamente storica, degli anni d'oro del cartello di Medellin

di Domenico Naso

Il confine tra Pablo Escobar e Andrea Diprè è sempre più labile. È bene che ce ne rendiamo conto, perché siamo nel bel mezzo di una Escobar-mania che rischia di andare oltre la decenza. Narcos, l’osannata serie targata Netflix che ha raccontato le vicende del re di tutti i narcotrafficanti, ha avuto il grande merito di ricostruire, a 23 anni dalla morte di Escobar, gli anni terribili della guerra tra trafficanti e governo in Colombia, le zone grigie, le connivenze, i lussi materiali e le miserie umane di Escobar e della sua corte. Lo ha fatto, però, senza cedere mai all’epica da serie tv, senza trasformare el Patron in un modello, in un idolo da adorare. Narcos ha ricostruito una importante pagina di storia e lo ha fatto attraverso la parabola di un protagonista assoluto di quegli anni. La ricostruzione storica e l’abbellimento televisivo si sono amalgamati alla perfezione, offrendo al telespettatore un affresco fenomenale. Ma lì ci si è fermati, perché quelli di Netflix non sono mica idioti e non avevano certo l’intenzione di alimentare una leggenda in chiave positiva.

Purtroppo, però, c’è chi sta tentando (anche con un certo successo) di sfruttare l’onda lunga del trionfo di Narcos per lucrarci, non curandosi delle ricadute sul pubblico. Pablo Escobar è sempre più protagonista di film, libri, canzoni, molti dei quali intrisi di quell’epica distorta di “coca e mignotte” che, appunto, è più adatta ai deliri di Diprè che a una rivisitazione, anche solo artistica e non necessariamente storica, degli anni d’oro del cartello di Medellin e del regno incontrastato del Patron.

Ecco, il confine di cui parlavamo è stato abbondantemente superato, per esempio, nell’ultimo videoclip del rapper Maruego. La canzone si chiama “Narcos” (che originalità!), il video è girato nientemeno che in Colombia, con immagini chiaramente ispirate alla serie. Il testo del brano, poi, è incredibilmente agiografico: l’uomo che parte dal nulla e arriva ai massimi livelli, l’epica della cocaina, quintali e quintali di “figa” a sugellare il successo di un uomoNessuno sta dicendo, intendiamoci, che c’è rischio emulazione o altre stupidaggini simili da Moige. È semplicemente sbagliato, però, esaltare un criminale, un uomo feroce e sanguinario che ha sulla coscienza migliaia (ripetiamo: migliaia) di vittime, molte delle quali innocenti.

La vicenda di Pablo Escobar e del cartello di Medellin è effettivamente una vicenda da film (o da serie tv, appunto) e nel corso degli anni è stata raccontata con più o meno efficacia da più fronti. Narcos è stato il tocco definitivo alla rielaborazione per immagini di quel periodo. E nessuno potrà mai fare meglio di NarcosDetto ciò, e proprio per questo, forse sarebbe il caso di andare avanti, di smettere di lucrare irresponsabilmente su Escobar attraverso filmetti o canzonette peraltro artisticamente trascurabili. Perché non bastano un paio di occhiali a goccia, un paio di strisce di coca e qualche bella ragazza per diventare Pablo Escobar. E questi imbarazzanti tentativi di imitazione rischiano di trasformare artisti o presunti tali in macchiette alla Dipré.

 

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