Fiori e palloncini bianchi. Lo stesso colore di due bare, con sopra due peluche, posate sul sagrato improvvisato nel cortile del complesso Don Minozzi, la struttura educativa in buona parte crollata dove i volontari hanno montato una tensotruttura. E’ qui che Amatrice si è stretta per dare l’ultimo saluto ai suoi morti: 231 dei 290 che hanno perso la vita lo scorso 24 agosto, uccisi “dalle opere dell’uomo e non dai terremoti” ha detto il vescovo di Rieti Domenico Pompili nell’omelia, aperta con la lettura dei loro nomi. Assieme al prelato, l’ex vescovo dell’Aquila Molinari e il vescovo di Ascoli Giovanni D’Ercole.

Ai funerali solenni, però, c’erano solo 28 salme. Dovevano essere 38. Ma dieci non si è riusciti a portarle nel piazzale dell’Istituto Don Minozzi a causa della pioggia e sono già al cimitero di Amatrice. Sull’altare della tensostruttura i volontari hanno fissato il crocifisso ligneo salvato dal crollo di una delle chiese del paese distrutte.

Presenti le massime autorità dello Stato: il presidente Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi e i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. “Il paese lo ricostruiamo, pezzo per pezzo, ma lo ricostruiamo. I soldi ci sono, garantisco il ritorno della comunità”, ha assicurato il presidente del Consiglio ad alcuni abitanti. Una signora poi si è avvinata dicendogli: “Mi raccomando, stavolta nessuno si deve arricchire con la ricostruzione”. “Il controllo è fondamentale”, le ha risposto Renzi. Mentre il capo dello Stato si è fermato a consolare i parenti delle vittime: “Siamo con voi – ha detto – non abbiate timore, non vi abbandoniamo”.

Hanno voluto portare il proprio omaggio anche l’imam di Firenze e il presidente dell’Ucoi, ma anche il vescovo Ortodosso. “Ringrazio anche tutte le autorità presenti uno per tutte il presidente della Repubblica” ha detto il vescovo Pompili al termine della cerimonia funebre. Mentre il sindaco Sergio Pirozzi ha ribadito: “Questa gente è morta perché amava questa terra e noi vogliamo restare qui”. Parole che sono state accolte da un lungo applauso.

“Questa era la cosa più giusta e logica da fare – ha detto il parroco del Paese don Fabio Gammarrota, tornando sulle polemiche di ieri scatenate dall’ipotesi di tenere i funerali a Rieti – il popolo resterà qui e rappresenterà il pungolo per le istituzioni affinché mantengano le promesse fatte a questa gente”. Il parroco però già pensa al dopo. “Dobbiamo ricominciare e ricominciare e come rinascere – dice – cammineremo a gattoni per un po’, poi qualcuno ci prenderà per mano in attesa di imparare a camminare di nuovo da soli”.

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