di Anna Maria Giannini *

L’esperienza di un disastro naturale è una delle più devastanti per l’essere umano: una forma intensissima di stress, con effetti di traumatizzazione anche rilevanti e con un alto rischio di insorgenza di conseguenze sintomatologiche.

Anche se di breve durata, un evento come il terremoto incrina profondamente gli schemi mentali dell’individuo rispetto all’ambiente di riferimento. Nell’immediato, vittima del panico e in una cornice percettiva del tempo alterata e dilatata, la persona è costretta a compiere rapidissime valutazioni sui comportamenti da tenere per mettere in salvo se stessa e i suoi cari, senza sapere quanto dureranno le scosse e quali effetti provocheranno. Successivamente, si trova a sperimentare le emozioni tipiche delle situazioni ad alto potere stressogeno: paura, angoscia, terrore, ansia, rabbia, accompagnate da vissuti di impotenza, spesso da sensi di colpa (non sono arrivato in tempo a portare soccorso, non sono riuscito a trarre in salvo una persona, etc.).

Queste emozioni permangono anche nel tempo, venendo a strutturare uno stato psicologico di continua “attesa” e allerta che induce a interpretare ogni minimo indizio come possibile indicatore di una nuova emergenza: la memoria dell’episodio traumatico resta molto a lungo e condiziona la vita al punto da potere provocare alterazioni del ciclo del sonno, stati di agitazione, iperattivazione, senso di insicurezza permanente.

Nel caso di eventi catastrofici, alla perdita delle persone care si unisce la distruzione dei luoghi, degli oggetti, dei punti di riferimento concreti e simbolici. Tutto questo comporta disorientamento e senso di alienazione, quasi di azzeramento” della propria vita e del proprio mondo. Con il crollo della propria abitazione viene meno la convinzione di vivere in un ambiente stabile e sicuro: se prima la casa era il luogo di rifugio, di tranquillità rispetto all’esterno, dopo l’accadimento traumatico diviene la rappresentazione del pericolo, di ciò che può divenire minaccioso e foriero di morte. Simbolicamente, ciò che ci aveva protetto dalle intemperie ci si rivolta contro.

Un discorso a parte merita la situazione dei bambini. Per certi versi più fragili dell’adulto, i più piccoli dimostrano tuttavia grande capacità di resilienza e di comprensione, ovviamente attraverso una comunicazione adatta alla loro fase di sviluppo cognitivo ed emotivo. Con il gioco, il disegno, le narrazioni, le fiabe, è possibile aiutarli a esprimere, in un contesto che ne favorisce l’impegno in attività coinvolgenti e costruttive, emozioni che altrimenti resterebbero compresse e non avrebbero modo di essere esplicitate. Va considerato che per il bambino è fondamentale, accanto al senso di protezione, potersi riappropriare quanto prima della quotidianità: andare a scuola e compiere le azioni tipiche di ogni giorno, dunque, gli è indispensabile per intraprendere e completare con successo il proprio processo di recupero.

In questi giorni, gli operatori sociali e gli psicologi dell’emergenza presenti nel territorio colpito dal sisma svolgono un ruolo prezioso. Nella quotidianità delle vittime, ogni ricorrenza, ogni elemento di richiamo alla realtà precedente al disastro è una “scossa emotiva fortissima” che solo per gradi verrà riassorbita, attraverso la realizzazione dell’irreversibilità delle perdite affettive e dei punti di riferimento fondamentali. Il supporto psicologico, tramite strumenti come l’ascolto empatico, è in grado di favorire la manifestazione delle emozioni e l’individuazione di un contenimento idoneo ad avviare le fasi di elaborazione e di reperimento di risorse interne di resilienza. Contestualmente, in un’ottica di prevenzione, è utile a contenere le conseguenze del trauma e l’insorgere di veri e propri quadri sintomatologici: il disturbo post-traumatico da stress o episodi depressivi anche gravi che, se trascurati, potrebbero giungere a tradursi perfino in condotte suicide.

* psicologa forense

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