Pochi anni fa, Amber Kumar Parajuli era stato mio allievo. Amber ritornò in Nepal subito dopo il terremoto per dedicarsi alla ricostruzione e, in seguito, si dev’essere appassionato alla sociologia urbana fino a deragliare nella filosofia politica. Non so come sia riuscito a farmi pervenire il manoscritto del suo nuovo libro, un trattato storico che la Oxford University Press Wuhan pubblicherà l’anno prossimo. Non è la prima volta che ricevo un manoscritto dall’Oriente, ma per prima volta lo ricevo dal futuro, giacché Kumar Parajuli compirà settant’anni l’anno prossimo e l’anno prossimo è il 2059. Il testo inizia così:

«Nella prima metà del secolo la democrazia rappresentativa, modello uscito vittorioso dalle guerre calde e fredde del XX secolo, iniziò una rapida decadenza in tutto l’Occidente. Più suolo veniva consumato, più l’aria veniva saturata da gas tossici e più anticipava la data dell’Earth overshoot day, meno le decisioni scaturivano da un confronto informato, aperto e condiviso dalla gente, ma venivano trasmesse alla popolazione come scelte ineluttabili in nome di modernità, crescita, mercato. E la gente non aveva difficoltà ad accettarle, poiché in quel tempo si “preferiva l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere”, come aveva anticipato Ludwig Feuerbach a metà Ottocento.

Qualcuno si era accorto che assottigliando la partecipazione all’elettorato attivo si migliorava la governabilità delle nazioni. Gli Stati Uniti d’America si erano incamminati da tempo lungo questa strada, ma solo con la presidenza di Hillary Trump il percorso progredì in modo irreversibile. Gli anticipatori del nuovo ordine, però, erano stati gli eredi delle più antiche civiltà occidentali: greci, italiani e ottomani. E la piccola ribellione della Brexit, con cui gli inglesi avevano messo in dubbio l’integrità europea, era stata presto cancellata da un risolutivo intervento del mercato.

In Italia paese di cui un po’ conosco pregi e difetti perché ho studiato lì a partire dal 2011 cessarono i governi eletti o almeno i governi che praticassero i programmi votati dagli elettori. Anzi, chi comandava governava in senso del tutto opposto, poiché nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso come aveva previsto Guy Debord negli anni ’60 del XX secolo. Le elezioni democratiche non erano state abolite, ma le regole venivano costantemente cambiate in modo che nulla cambiasse nella selezione della classe dirigente, espressa da una minuscola oligarchia finanziaria quasi sconosciuta alla gente comune. E più che governare, il capo comandava, poiché lo stile e la vivacità della tirannide avevano conquistato il cuore della gente. La strada verso la forma di governo che oggi conosciamo come olicratura era stata imboccata.

Anche il significato originario delle parole si era evoluto, se la guerra era diventata per tutti una missione di pace e, parlando del denaro trattato con religioso rispetto, la “garanzia interna” chiamata appunto bail-in non garantiva per nulla il depositante, assimilato all’obbligazionista. Perciò l’iniziale diffidenza per la parola “olicratura” venne presto superata. In fondo, era la sintesi perfetta di tre sistemi imperfetti: oligarchia, democrazia e dittatura, con un pizzico di tirannide. E, alla fine degli anni ’20 del XXI secolo, la governance olicraturiale godeva di grande consenso».

Continuerò a leggere il manoscritto di Amber, che ho affrontato con curiosità agostana; e, caso mai, ne riporterò qualche altro passo su questo blog. Visto dall’alto del suo tetto malfermo, che con alta probabilità nel 2059 sarà un bel po’ sbriciolato dai cambiamenti climatici, il mondo contemporaneo gode di una prospettiva non banale. Condita dalla saggezza di un’antica e solida cultura.

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