Ho appena finito di leggere, con molto interesse e ammirazione, l’avvincente libro di Karim Franceschi, Il combattente, nel quale l’autore, giovane militante comunista, racconta la sua esperienza all’interno delle Unità di protezione del popolo kurde (Ypg), dall’assedio di Kobane alla successiva controffensiva. Franceschi ha speso tre mesi della sua esistenza nella Rojava, combattendo contro l’Isis e rischiando ogni giorno la sua vita. Ha visto morire al suo fianco altri giovani combattenti schiacciati dalla mostruosa macchina di guerra e morte messa in moto dai terroristi. Ma, grazie a questi sacrifici, questa macchina è oggi in evidente crisi.

Pochi giorni fa è stata liberata anche Manjib, altra importante città della zona, e i leader kurdi hanno saputo allargare la propria rivolta e la propria resistenza ad altre etnie, dando vita a una formazione politico-militare, le Forze democratiche siriane (Sdf), da non confondere con i cosiddetti ribelli dell’Esercito libero siriano e simili, oramai agganciati al carro delle varie formazioni fondamentaliste e incapaci di un’iniziativa autonoma sia sul terreno militare che, a maggior ragione, su quello politico. Grazie a questa presenza sul campo Ypg e Sdf si candidano al ruolo di protagonisti del futuro politico siriano e occorre insistere affinché il regime, che ha le sue colpe, scenda sul terreno negoziale per porre fine a questo conflitto sanguinoso e delineare una Siria realmente democratica e laica.

Quanto all’Isis, in più di un’occasione ne ho analizzato origine, caratteristiche e finalità. Si tratta di una forza che definire fascista non è affatto una forzatura, nascendo dall’alleanza fra residuati del baathismo iracheno e takfiristi sunniti che si ispirano alla peggiore interpretazione possibile dell’Islam. L’Isis ha commesso crimini di ogni genere nei territori che ha occupato, massacrando le popolazioni e riducendo in schiavitù le donne. Enormi sono state, nel suo sorgere e nella sua resistibile ascesa, le responsabilità dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti di America e della Nato, sia perché, con l’aggressione criminale prima all’Iraq e poi alla Siria, con i crimini tuttora impuniti (a quando il processo contro Blair?) ai danni delle popolazioni civili e le torture ad Abu Ghraib hanno creato un clima favorevole alla sua nascita sia perché in seguito – come dimostrato dal rapporto dei centri studi balcanici di cui ho parlato recentemente e dalle recenti rivelazioni di Wikileaks sul ruolo svolto da Hilary Clinton – li hanno provvisti, mediante Turchia, Arabia Saudita, Qatar e altri, di denaro, armi, munizioni e facilitazioni di ogni tipo. Inoltre, perché dall’estensione in vario modo del suo terrorismo anche sul suolo europeo hanno tratto spunto per proporre nuove limitazioni delle libertà democratiche e, in alcune frange non trascurabili (da Trump a Le Pen a Salvini) rilanciare il discorso dello scontro di civiltà che fa il gioco dei terroristi.

Se è stato possibile sconfiggere il disegno del Califfato, che prevedeva lo smembramento degli Stati medio-orientali e il consolidamento di un’inquietante regime fascioislamico basato sulla violazione di ogni diritto, è stato grazie alla resistenza dei kurdi e degli altri popoli che si sono opposti a tale disegno. Rilevante è stato anche il contributo di coloro che hanno appoggiato tale resistenza, sia prendendo direttamente in mano le armi che in altro modo, ad esempio con le carovane di aiuti che Cobas, centri sociali e altri hanno organizzato e continueranno a organizzare. Una solidarietà oggi da estendere anche alle realtà istituzionali, a partire da comuni e regioni, che devono entrare in diretto rapporto con le zone liberate e aiutarle a costruire il loro futuro democratico e autonomo, consentendo fra l’altro il ritorno dei rifugiati in patria.

Ciò detto, è davvero sconcertante l’articolo di Grazia Longo, apparso sulla Stampa del 10 agosto scorso, che, dopo aver ipotizzato di regie “anarco-insurrezionaliste” a favore degli immigrati che vorrebbero raggiungere i Paesi dell’Europa settentrionale per ricongiungersi ai propri familiari, afferma testualmente quanto segue: “Il dato più preoccupante è che a Ventimiglia si nasconda qualcuno dei No Borders italiani andato a combattere in Siria contro l’Isis. Si tratta di un numero assai contenuto, non dovrebbero essere neppure cinque, ma comunque allarmante perché pur essendosi schierati contro Daesh c’è il timore per gli eventuali sviluppi del loro ruolo di foreign fighters anche se contro il Califfo”.

Dagli oscuri anacoluti della Longo sembrerebbe quindi di poter evincere che il pericolo per l’ordine pubblico italiano sono coloro che hanno combattuto l’Isis in Siria. Non si capisce se si tratti di fantasie autonome della giornalista in questione ovvero di veline di qualche questurino (occorre sperare che ben altra sia la lucidità e l’intelligenza di coloro che sono preposti alla tutela dell’ordine pubblico), o magari di Erdogan, acerrimo nemico dei combattenti kurdi, o dello stesso Califfo. A favore di una provenienza di tale ultimo tipo è l’espressione “estremisti curdi di sinistra” riferita all’Ypg che come è noto organizza l’intero popolo kurdo e non solo quello, e ha protetto un’esperienza di governo democratico e partecipativo senza precedenti per quell’area geografica e più in generale. Ben giustificata quindi la richiesta di rettifiche e scuse contenuta in una lettera indirizzata alla Stampa e firmata da vari protagonisti del mondo della  solidarietà. Vediamo se ci sarà una risposta e quale essa sarà. Notiamo a ogni modo come al processo di concentrazione della stampa italiana consegua un notevole ulteriore scadimento della sua qualità, specie per quanto riguarda le questioni internazionali.

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