Dopo che hanno minacciato sua moglie e ucciso diversi membri del suo partito, i comunisti libanesi, a Massoud Mohamad non restava altra scelta che scappare in Europa. Voleva trasferirsi in Svezia, dove vivono suo nonno e suo zio che avrebbero potuto aiutarlo anche economicamente. Invece, il Trattato di Dublino lo ha obbligato ad essere trasferito in Italia. “Arrivato in Svezia, hanno visto che sul mio passaporto c’era già il visto italiano”, racconta il giornalista e attivista siriano-libanese. Un timbro messo dall’Italia diversi mesi prima quando Massoud e la sua famiglia erano venuti nel Belpaese in vacanza. “Non hanno considerato che ora la situazione era diversa, che stavo chiedendo protezione come rifugiato: mi hanno obbligato a trasferirmi in Italia”.

Molti migranti, per eludere il Trattato di Dublino, scelgono di vivere illegalmente diversi mesi e poi chiedere accoglienza come rifugiato nello Stato dove vorrebbero effettivamente trasferirsi. Ma Mohamad decide di seguire le regole, arriva in Italia, e si ritrova in un centro di accoglienza a Marzio, in provincia di Varese, dove il gestore era solito chiamare i migranti “cretini” e “animali”. “Capisco la frustrazione di governo e cittadini italiani – continua il giornalista di Beirut Observer minacciato per la sua attività di denuncia di Hezbollah e di Isis – ma dovreste almeno classificare i migranti. Non penso che dopo una laurea, 22 anni di lavoro e oltre 500 articoli scritti, sia giusto mettermi a lavare le macchine”

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