Il verdetto del Tas ha investito in pieno il morale di Alex Schwazer: 8 anni di squalifica dopo la positività ai test antidoping. Il marciatore, 31 anni, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, all’indomani del verdetto. “Devo chiudere in fretta questo capitolo della mia vita, per non farmi male”, ha detto l’atleta di Vipiteno, che già nel 2012 era stato scoperto positivo all’Epo in un controllo a sorpresa effettuato a casa sua. “Nel 2012 è stato faticoso ma più facile: ero colpevole, imbroglione, dopato. Ora sono una vittima“, ha dichiarato Schwazer che, da quando era stato scoperto ancora una volta positivo ai test, si era sempre detto innocente e pulito: “Io devo cambiare vita, subito”, ha aggiunto.

Alla domanda sui suoi progetti per il futuro l’atleta ha risposto: “Non lo so. Durante la squalifica ho provato col ristorante, gli anziani, l’università. Ho sempre fallito”. Schwazer ha escluso una carriera nello sport: “Mi viene da ridere, che mestiere può fare un dopato nel mondo dello sport? Allenare i ragazzini?”. Poi la domanda forse più attesa: “Continuerà a marciare?”. “Continuerò a correre e pedalare – ha risposto Schwazer-  Non posso stare fermo, mi viene troppo da pensare. […] Marciare no. Mai più, nemmeno per un metro. La marcia non è libertà, ma controllo maniacale del corpo.”

Schwazer ha poi parlato del suo rapporto con gli altri atleti, che l’hanno molto criticato sin dal 2012: “Non ricambio il loro odio, anzi lo capisco. L’atletica è tutti contro tutti. Dare del dopato a un collega è il miglior modo per giustificare che vai più piano di lui o sei meno popolare”.

Sandro Donati, allenatore di Schwazer considerato paladino dell’antidoping, non aveva escluso che dietro alla nuova positività del marciatore ci fosse una ritorsione nei suoi confronti, per aver sempre denunciato i casi di doping in passato: “Questa storia porta con sé un messaggio molto chiaro: chiunque parla va messo fuori gioco, chi rompe il muro dell’omertà che c’è sul doping deve comunque pagarla cara”, aveva detto l’allenatore in un’intervista a Repubblica.

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