Se il portiere Joe Hart riuscirà a consolarsi delle papere che sono costate il “leave” della sua Inghilterra a Nizza, contro l’Islanda, molto lo dovrà a una 30enne ingegnere italiana. Virginia Andreani, infatti, ha fatto parte del team di “strutturisti” che hanno calcolato pesi e portanti della nuova curva dell’Etihad, lo stadio del Manchester City. È anche grazie al suo lavoro, quindi, che nella South Stand da un anno in qua ci sono 6mila posti in più per i tifosi di casa, in una struttura tutta d’acciaio. Ma questo excursus nel mondo del calcio per Virginia è stato un punto di partenza. “Oggi, a 3 anni dal mio arrivo nel Regno Unito, sono senior engineer e ho sotto di me cinque persone”, ci racconta Virginia, che oggi vive a Bath, nel sud ovest dell’Inghilterra, col suo fidanzato, ma è nata a Castelfidardo (Ancona), dove fino al 2013 ha vissuto coi suoi genitori. Sua mamma è inglese, e il fatto di avere la doppia nazionalità le ha permesso di confrontarsi ad armi pari con un mercato del lavoro del tutto diverso da quello trovato in Italia.

“In Italia mandavo cv e nessuno mi rispondeva. Qui in Inghilterra mi sto già comprando casa”

Sono stati tempi difficili, quelli marchigiani, per Virginia. “Nel 2011 mi laureo a pieni voti ad Ancona, con una tesi sulla vulnerabilità sismica”, racconta, “ma non trovavo altro che incarichi per 2, 3, massimo 6 mesi. Mandavo migliaia di curriculum senza nessuna risposta, ed ero molto demoralizzata. In pratica mi manteneva mio papà, mi pagavo a stento le uscite del sabato e la benzina per andare al lavoro. Qui in Inghilterra, invece, mi sono già messa da parte dei soldi e sto per comprarmi casa”. Ma come arriva Virginia in terra di Sua Maestà? “All’ennesimo curriculum mi rispondono dall’Inghilterra proponendomi un colloquio su Skype. Quel pomeriggio mi hanno ascoltato per un’ora: soprattutto volevano conoscere le mie aspirazioni. Dopo una settimana arriva un’altra mail e mi propongono un contratto di 6 mesi come strutturista. Obiettivo: ampliare lo stadio del City. Figurarsi, in quel periodo lavoravo a Jesi a partita Iva, potevano cacciarmi in ogni istante. Sette giorni dopo ero al lavoro a Bath”.

Nel Regno Unito compiti e rapporti sono diversi. “All’inizio è stato difficile fare amicizia: gli inglesi sono parecchio freddi, ma mi ha aiutato il fatto di lavorare in un’azienda enorme, dotata di un campus che hanno chiamato young engineers forum, con persone da ogni parte del mondo”. Oggi, però, per gli stranieri si spalancano le incognite sul futuro dopo il sì alla Brexit. “Il futuro ti spaventa un po’ quando vedi i tuoi amici spagnoli, polacchi, italiani che si preparano a lasciare la città in cui hanno vissuto per 3 o 4 anni perché si sentono unwanted. Personalmente non credo che tornerò, dato che ho il passaporto inglese. Solo mi dà fastidio il fatto che tanti inglesi si illudano senza tutti questi europei nel loro paese avranno più posti di lavoro e ricchezza. Siamo qui per lavorare e costruirci un futuro e ci dipingono come sanguisughe. E questo mi fa rabbia. Da inglese sono disgustata, da italiana delusa dal fatto che un paese che si professa così moderno possa essere così arretrato”.

“Dopo i sei mesi iniziali, qui mi hanno assunta a tempo indeterminato. E poi ho cambiato lavoro, perché un’altra azienda mi ha offerto più responsabilità e più soldi”

Sul piano professionale, però, il Regno Unito comporta, per Virginia, più responsabilità. “Qui chi lavora sul campo presenta il proprio lavoro agli altri, ogni settimana, e dà il suo parere su ogni progetto. Quand’ero in Italia chi stava in alto si prendeva i meriti, e scaricava i problemi in basso: se lavori pare che ti facciano un favore, che è il modo più adatto per non far crescere le persone e deprimere le aziende. Ad ogni modo qui, dopo i sei mesi iniziali, mi hanno assunta a tempo indeterminato. E poi ho cambiato lavoro, perché un’altra azienda mi ha offerto più responsabilità e più soldi”. Altri ritmi. “Qui filo dritto ogni giorno per 9 ore consecutive, salto spesso la pausa pranzo, ma poi posso permettermi lunghi weekend a Lisbona, a Palma di Maiorca e dovunque c’è il sole. Per il resto ho 22 giorni di ferie all’anno e me li devo gestire bene”.

Nessuna nostalgia dell’Italia? “Poca. Da Bath a Castelfidardo c’è un abisso: con la testa di oggi non riuscirei mai a vivere di nuovo lì. Figurarsi che all’esame di tecnica delle costruzioni il prof mi aveva detto: ‘Saresti da 30 e lode, ma sei una donna, ti do 30’. Si credeva spiritoso”. Del resto in Inghilterra Virginia è stata raggiunta dalla sorella minore. “Ha 25 anni, si è laureata in Farmacia a Rimini, ma in Italia non ha trovato nulla. L’ha assunta una mia amica a Chippenham”. E così la famiglia si allarga. In Inghilterra.

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