Nelle carceri italiane di vezzi e di stranezze se ne vedono tante. Ma questa è certo tra le più bizzarre che mi sia capitato di incontrare. Ben si addirebbe a una simpatica lettura da ombrellone, se non fosse che donne e uomini in carne e ossa devono quotidianamente sobbarcarsi inutili e vessatorie fatiche da aggiungere a una condizione già di per sé difficile.

Nel carcere di Novara per poter portare a un famigliare detenuto uno spicchio di parmigiano, un po’ di frutta di stagione, un barattolo di miele – secondo l’elenco dei generi alimentari consentiti e all’interno dei pacchi mensilmente permessi dal regolamento penitenziario – è obbligatorio fargli avere anche pantaloni, camicie, maglioni secondo il principio della parità di peso. Per due chili di pesche serviranno quattro o cinque paia di jeans (sarebbe sciocco usare pantaloni di flanella, di peso senz’altro più modesto). Per qualche mozzarella potrebbero bastare un paio di felpe. E via dicendo. Ciò anche se questi indumenti non servono al parente recluso, perché ne ha già a sufficienza e certamente non sente il bisogno di prodursi in grandi sfilate per il corridoio della sezione.

“Ho tre cambi treno”, ci scrive una signora che purtroppo si trova nella situazione di dover far visita a un parente detenuto a Novara, “e sono obbligata a trascinarmi 20 kg di peso quando potrei portare solo 10 kg di alimenti in quanto porto il vestiario solo nei cambi stagione. Finito il colloquio mi viene restituito dal mio familiare lo stesso vestiario utilizzato solo per far passare il cibo”.

Abbiamo chiesto spiegazioni alla direzione del carcere. Ci è stato detto che la norma trova fondamento in un articolo del Regolamento Penitenziario che afferma quanto segue: “I detenuti e gli internati possono ricevere quattro pacchi al mese complessivamente di peso non superiore a venti chili, contenente esclusivamente generi di abbigliamento, ovvero, nei casi e con le modalità stabiliti dal regolamento interno, anche generi alimentari di consumo comune che non richiedono manomissioni in sede di controllo”. Siccome il cibo è, in questo articolo di legge, subordinato al vestiario, è conseguenza logica – sostiene la direzione – che non possa avere un peso superiore a esso.

La legge rinvia i casi e le modalità di consegna dei generi alimentari al regolamento di Istituto, cioè a un atto scritto a più mani da tanti operatori e avallato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Non è chiaro se a Novara ci sia un regolamento di Istituto oppure se la decisione sia esito di un ordine di servizio del direttore. Sta di fatto che la decisione di prevedere che ogni pacco portato da un familiare a un detenuto debba presentare un peso equivalente di cibo e vestiti non trova alcun fondamento obbligato nella legge e dovrebbe indurre a una diversa interpretazione della stessa. È una decisione illogica, irrazionale e vessatoria nei confronti dei poveri familiari i quali, va ricordato, sono persone innocenti troppo spesso trattate come criminali. Il buon senso è sempre un’ottima misura di governo per chi dirige un carcere, così come per chi dirige un ospedale, una scuola, un ufficio e via dicendo. Non bisogna complicare inutilmente esistenze già complicate di loro. Purtroppo di stravaganze come questa ne abbiamo incrociate tante nel nostro sistema penitenziario. E spesso facevano ben più danno di dieci chili su tre cambi di treno.

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