Quando ci penso, me lo immagino in piedi, appena giunto in un posto nuovo, respirare il paesaggio all’intorno. Lui che da ragazzo arrivò a Marsiglia a nuoto, tuffandosi dalla nave che stava entrando in porto; lui che scalò il Vesuvio, e come un posseduto corse in un senso e nell’altro attorno al suo cratere, fino allo sfinimento; lui che a Roma pensò bene di scalare la basilica di San Pietro dall’interno, fermato all’ultimo istante, mentre tenta di issarsi su di un parafulmine. Sì, non era tanto in riga, ma negli occhi custodiva il suo futuro.

James Holman (1)Si chiamava James Holman. Nato nel 1786, era il quarto figlio di un farmacista di Exeter, nel Devon in Inghilterra, e a dodici anni aveva già viaggiato attraverso Italia, Francia, Svizzera, Germania, Belgio, Olanda.

Sì sì, vi direte, va bene, ma perché lo ricordiamo, a parte le “bravate” di Roma e Marsiglia o qualche weekend lungo in giro per il continente?

Per vari motivi. Il più eccezionale di questi è che a un certo punto della sua vita, sempre molto giovane, alla faccia del Vesuvio e di San Pietro, s’impuntò in un progetto delirante e senza precedenti, il progetto più potente, folle, visionario (e un filino smisurato) che un uomo solo possa partorire: il giro del mondo. Da ovest a est. Via terra.

E il bello deve ancora venire, ve l’assicuro. Naturalmente amici e parenti tentarono di dissuaderlo con ogni mezzo.

Lui a loro raccontò una versione edulcorata – si fa per dire – della sua idea. Disse che sarebbe voluto giungere “solo” fino a San Pietroburgo. Così, per farli stare tranquilli. In realtà James voleva superare la Siberia, il Lago Bajkal, e giungere (almeno) fino alla Mongolia. Vorreste dissuaderlo anche voi, no?

Ok. A questo punto però, è necessario avvedersi di un particolare gigantesco, per quanto irrisorio, evidentemente, agli occhi di Holman. Sì, perché proprio loro, i suoi occhi, erano ciechi. Sì sì avete sentito bene: James Holman non vedeva. Fin da ragazzo.

Per non parlare dei violenti attacchi di reumatismi di cui soffriva, di vari problemi di mobilità, ecc. Volevate dissuaderlo 5 righe sopra. E adesso?

Pensate che all’età di ventun anni il ragazzo, che come vediamo aveva preso l’abitudine di pensare in grande, si mise a studiare letteratura e medicina (una sola non bastava, in effetti), perché nutriva la speranza, commovente e vana, di capire come potersi guarire. Ebbene, quando capì di non poterlo fare, non se ne fece un cruccio e proseguì per la sua strada (alla lettera!). Eh sì, James non aveva mai imparato cosa volesse dire sentirsi vinto.

Ma torniamo alla sua pazza idea. Per quale motivo Holman voleva fare il giro del globo proprio via terra? Perché su facebook ancora nessuno aveva postato un’impresa del genere? No. Perché aveva pochissimi soldi, e non avrebbe potuto permettersi di salire su chissà quante navi per aggirare quei piccolissimi ostacoli che usiamo chiamare i continenti. Sta di fatto, senza farla tanto lunga, che James partì.

Per un po’ sembrò andare tutto bene. Ma a un certo punto vi fu un intoppo. In sostanza, mentre attendeva che il Bajkal ghiacciasse, venne a sapere che lo zar gli impediva di proseguire il suo viaggio. E perché? Perché fu sospettato di essere una spia. Che volpi, eh? Venne caricato su una slitta e riportato fino alla frontiera con la Polonia. Da dove rientrò in Inghilterra.

Arreso? E perché mai?! Tornò a casa -niente coda fra le gambe- e una volta lì, scoprì che un suo libro, nel quale aveva narrato di un precedente viaggio, stava ottenendo un enorme e inaspettato successo. A quel punto, già che c’era, ne approfittò per dettarne un secondo. Che divenne bestseller anch’esso.

Eh si, un pezzo alla volta, le cose cambiarono. Sì perché a quel punto i soldi non mancavano più. E James capì di potersi permettere di salire sulle navi, per i suoi seguenti tentativi. Ovviamente c’era da riprendere in mano il giro del mondo, che non puoi mica lasciare a metà, sennò che giro del mondo sarebbe! E naturalmente il progetto originario andava aggiornato, non più solo via terra.

Uno-due, fatto! E così, via mare, partì dall’Africa occidentale, su di un’imbarcazione inglese chiamata “Eden”. E stavolta ce la fece! Il primo non vedente della storia ad aver circumnavigato il globo!

Soddisfatto? E perché mai?! A quegli anni di viaggi, ne seguirono altri, e altri, e altri ancora… Potrei farvi l’elenco, Brasile, Zanzibar, Australia, Portogallo, Turchia, ma non si finirebbe più, lascio fare a voi: puntate un dito sulla pelle del mondo, James è lì.

Morì alla fine di luglio del 1857. Ebbene, ci sono storie che, adilà delle vicende che portano in sé, ci dicono ben altro.

Sulla mappa del mondo, il disegno tracciato dalla mano cieca ma ferma di Holman sembra dirci che non v’è nulla di più abbondante della realtà. Per esempio, che l’ultima parola non è detta, perché la diremo solo alla fine. E anche, forse, che il dolore più grande è quello di lasciar fare tutto al dolore. Guardo il disegno di James, e mi accorgo che il tempo non sembra essere fatto per lasciarlo passare. Guardo quei luoghi, dalla visuale privilegiata che ci concedono le mappe, e mi chiedo che cosa avrà ricordato, di tutto quello che “vide”. In che modo ogni luogo lo accrebbe, e quanto lasciò, di se stesso, a ogni paese. Ma soprattutto: quanto avrà visto, del mondo, di meno di ciascuno di noi? Quanto, di più?

“E’ doveroso lanciarsi alla scoperta di nuove città”, diceva Álvaro Mutis, “Ci attendono (…) coloro che vivono in mezzo al mare da tanti secoli e che nessuno conosce perché viaggiano sempre in direzione ostinata e contraria alla nostra. Da loro dipende l’ultima goccia di splendore.”

Da loro.

E da noi.

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