VOLTERRA – Cifre tonde e piene per due importanti festival toscani: mezzo secolo per l’esperienza del Teatro Povero di Monticchiello con gli abitanti-attori e trenta per Volterra Teatro con gli attori-detenuti della Compagnia della Fortezza. Due significative eccellenze nel mare magnum delle rassegne estive teatrali toscane, da Inequilibrio di Castiglioncello a Collinarea di Lari, da Orizzonti Verticali a San Gimignano a Utopia del Buongusto nelle province tirreniche, da Radicondoli a Kilowatt di Sansepolcro, da Orizzonti d’Arte di Chiusi a Mercantia a Certaldo fino al Cantiere e al Bruscello di Montepulciano, dalla Tovaglia a Quadri di Anghiari al Teatro nel bicchiere e Maremma a veglia di Orbetello e dintorni.

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Ancora “Toscana felix”, nonostante crisi, tagli, crack del Monte dei Paschi. Terre di Renzi, di Boschi, di Verdini. A Monticchiello il teatro ha letteralmente salvato una comunità garantendo un futuro fatto di turismo slow, che ha portato anche l’inserimento della frazione (a sette chilometri da Pienza) nell’elenco Unesco. Il teatro che prima era denuncia sociale, grido alle istituzioni perché ponessero attenzione sui piccoli centri rurali che si stavano spopolando a favore delle città, e che oggi è conquista, orgoglio, radicamento.

La gente di Monticchiello (300 unità; Asor Rosa abita nelle vicinanze) si ritrova tutto l’anno e, in infinite riunioni, decide i temi da affrontare nelle tre settimane del debutto della pièce (da fine luglio a Ferragosto) che ogni anno li fotografa, li raccoglie, li racconta. Per un abitante del piccolo borgo è fonte di grande fierezza mettere in scena i problemi e le particolarità, dubbi e cambiamenti di questa terra rurale, dura com’è la campagna ma aperta, limpida e sana come la vista sull’intera vallata.

I cinquant’anni dell’“autodramma” sono racchiusi in questo Notte d’attesa immersa nella piazzetta della Commenda tra lenzuola bianche a tendere alle finestre e odore di lavanda che arriva a folate dai campi tutt’attorno. Andrea Cresti (regista) e Giampiero Gigliotti (aiuto drammaturgo e miglior attore sul palco) sono i capofila di questa brigata cittadina che si muove e concerta, delibera e si parla, decide tutta assieme in una democrazia fattiva e allargata altrove di difficile realizzazione.

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Se da una parte i temi del Pil che non cresce e del futuro che non c’è sono in linea con le passate edizioni, come l’economia che non riparte o la disoccupazione in aumento, la costruzione di muri a dividere, trincee, torri e assedi, esacerbano un discorso negativo e pessimista che negli ultimi anni, a Monticchiello ma come riflesso di quello che accade a livello mondiale, sta sempre più montando.

L’Islam o Trump ci pongono davanti al bivio se il nemico non sia fuori dal nostro borgo consueto o dentro le nostre stesse mura oppure, ancor peggio, alberghi dentro noi stessi, nelle pieghe dell’uomo, risultando quindi inestirpabile. Da chi ci stiamo difendendo? Da noi stessi, spesso, in forma di ansia che genera fantasmi e mostri ingigantendo le ombre, costruendo “campi di concentramento alla rovescia”, gabbie. Di fronte all’impotenza e alla rassegnazione che sembra stia vincendo, la ricetta dei monticchiellesi è quella di fare un passo indietro per salvarsi, “dare vita al medioevo del terzo millennio”.

Intanto la nebbia, metaforica scenica e reale nella vallata, si dipana. La bellezza della natura vince sull’uomo. Stretti e compressi tra paradisi artificiali e inferni terreni è il Dopo la tempesta, di Armando Punzo, impregnato delle opere e significati, sensi e lasciti shakespeariani. A ogni croce, che può elevarti all’alto, corrisponde una scala, niente di più concreto e tangibile per scendere nelle viscere, a ogni sofferenza fa rima una possibilità. Parole e musica che lette attraverso i volti e le sillabe sgangherate della ciurma di quaranta detenuti, con i loro accenti dell’est o cinesi, africani come napoletani, hanno tutt’altra valenza e corpo. Tutto fa rumore ed eco in queste profonde catacombe che sono l’oggi nell’attrito tra abiti elisabettiani e muscoli nudi e gonfi.

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Ogni uomo porta goffo la sua croce, zompetta claudicante, struscia i piedi in quest’arena che sembrano tori all’ultimo giro di boa mentre la sabbia scorre tra le dita ad indicare l’infinita clessidra del tempo che non conosce sosta. Al di là delle citazioni e riferimenti, cercati o trovati, dalle opere del Bardo (tra gli altri Otello e Macbeth, Romeo e Giulietta e Giulio Cesare, Il Mercante e La Tempesta), questo è il luogo giusto (il Cortile del Maschio del carcere-fortezza di Volterra; Salvatore Altieri ci è parso il più bravo) per sottolineare e scardinare le miserie umane. Questo mondo d’argilla dove i suoi abitanti sono imprigionati in collari a pence come cani alla catena, la salvezza può avere soltanto le fattezze di un bimbo che rotola avanti a sé, come novello Atlante, una palla-globo con cui giocare, divertirsi, che la vita a volte è tragedia, altre è commedia.

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