Nella narrazione politica seguita all’approvazione delle unioni civili, e rinverdita dalla pubblicazione del tanto atteso decreto ponte, osservo da qualche tempo un processo di mistificazione che potremmo definire “filo-governativo” e che, temo, faccia male al dibattito che è necessario organizzare da ora in avanti per arrivare in tempi brevi al superamento di questa legge e all’approdo al matrimonio egualitario, comprensivo di tutti i diritti e le facoltà riguardo alla genitorialità (dall’adozione legittimante al riconoscimento della prole avuta attraverso eterologa). Eppure, in tale “narrazione del dopo”, emergono almeno tre filoni che palesano una percezione distorta della realtà circa la vicenda in questione.

Il primo di questi è quello che definisco “giustificazionista”. Ero al pride di Siracusa, qualche settimana fa. Monica Cirinnà, invitata in qualità di madrina, snocciolava i vantaggi e i meriti della legge. Loro, a sentir lei, le avrebbero pure fatte le stepchild adoption. Ma poi è venuto il M5S a sparigliare le carte. Dimenticava di dire, la senatrice, che nel luglio del 2014 – ben due anni prima dell’approvazione della legge mutilata dei diritti dei bambini e delle bambine arcobaleno – Avvenire scrisse a chiare lettere che le adozioni non si sarebbero dovute fare. Renzi promise che il ddl sarebbe stato superato da un decreto del governo. E così è stato. Dopo di che, diede libertà di coscienza ai cattodem del Pd (così come Grillo ai suoi, in un secondo momento) ponendo le condizioni di avere un partito diviso e di indebolire la legge.

L’errore dei pentastellati è stato quello di aver giocato, sulla pelle di milioni di persone Lgbt, una partita politica per far cadere il presidente del Consiglio – quando sarebbe bastato votare il canguro per mandare in tilt il Pd – e per questo il MoVimento è imperdonabile. Addebitare, tuttavia, ogni colpa a un solo soggetto politico non fa onore al vero. Il filone giustificazionista mira a questo: ridare verginità al Pd che ha molto da farsi perdonare su questo frangente.

Il secondo filone, invece, è di tipo “linguistico” e tutto interno alla comunità arcobaleno. E produce un errore che rischia di essere un boomerang nella strategia futura. Riporto, a tale proposito, le parole di Marco Mori, già presidente del Cig di Milano: «Se continuate a dire che ci si può sposare non è che questa cosa diventa vera. Sono unioni civili. Il matrimonio civile è un’altra cosa. 
Se fosse lo stesso, perché non è stato esteso il matrimonio alle coppie omosessuali? Perché per molti non è lo stesso.
 E abbiamo sentito gli argomenti usati». Confondere un istituto segregativo per un altro, che invece conferisce piena dignità giuridica e egualitaria – cosa che il ddl Cirinnà non fa, per ammissione della sua stessa relatrice – può avere conseguenze nefaste. Continua, infatti, Mori: «È di sicuro più di un passo avanti, da festeggiare e celebrare, ma secondo me se si danno a cose diverse nomi uguali, quando chiederemo cose diverse non stupiamoci se ci diranno che ci sono già».

Confondere le acque, in altre parole, forse anche per l’impeto (giustificabile) di qualcuno che non vede l’ora di convolare a giuste nozze – anche se si troverà unito civilmente e nulla più – o per le premure di qualcun altro, magari vicino al partito di maggioranza che ha tutto l’interesse di promuovere la sua legge per questioni di maquillage politico, non fa certo un favore alla causa. E infatti, conclude sempre l’ottimo Mori: «Poi so anche io che per la mia vicina di casa il senso è lo stesso, anche se so che quando le si dirà “matrimonio” ti dirà che c’è già, facendo spallucce e derubricando la faccenda» ricordandoci, ancora di fare «attenzione a non finire col delegare la lotta per il matrimonio egalitario alla generazione che a settembre inizia la prima media, perché a me il rischio pare dietro l’angolo».

Il terzo filone, infine, è quello che definisco “fatalista”, per cui sento dire sempre più spesso “meglio poco che nulla”, “purtroppo siamo in Italia” e frasi analoghe. Faccio notare che dovremmo innanzitutto uscire da una logica emergenziale, che è l’anticamera di ogni compromesso possibile e per di più al ribasso. E proprio perché siamo in un paese che da sempre ricolloca le minoranze nell’ambito della sub-umanità dovremmo essere coscienza critica vigile. Accettare tale determinismo, per cui dobbiamo abituarci al peggio, poi varrà per altre ingiustizie che, purtroppo, arriveranno contro noi o altre categorie, qui come altrove. E dubito fortemente che un domani, di fronte all’ennesima strage contro civili inermi o di fronte a violazioni dei diritti umani, saremo disposti a dire “purtroppo è l’Isis” o “sai come funziona in Iran, con gli omosessuali”.

Avere ben chiaro tali aspetti – che non sono neppure esaustivi dell’intera questione – può aiutarci, a parer mio, a non perdere di vista il punto sui prossimi passi da seguire. Arrendevolezza, confusione e complicità con la strumentalizzazione del discorso politico non sono mai state ottime armi per arrivare alla piena uguaglianza.

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