Associazione con finalità di terrorismo. E’ questa l’accusa contro Abdelfettah Mezouari, il marocchino 27enne arrestato due giorni fa per droga nell’ambito di un’inchiesta della procura distrettuale antiterrorismo di Genova (leggi). L’iscrizione è legata al materiale che la polizia postale ha trovato nel suo cellulare e nel computer. Nelle immagini sono chiari i riferimenti all’attività jihadista. L’uomo viveva nel Savonese ed era stato arrestato insieme al fratello in una inchiesta della procura distrettuale antiterrorismo di Genova.

In particolare sullo smartphone di Mezouari è stata trovata una foto di un uomo che indossa una cintura da cui escono alcuni cavi elettrici, simile a una sorta di cintura esplosiva. Nell’immagine si vede solo l’addome e non il volto dell’uomo. Sul profilo Facebook, invece, sono stati pubblicati due video ritenuti interessanti dagli inquirenti. In uno si vede un jihadista che parla in arabo e poi incendia tre fantocci. Nell’altro, definito come ambiguo, si vede un aereo che rappresenta il ramadan, il mese di preghiera e digiuno per i musulmani, effettuare un viaggio in cui vengono fatti vedere ai passeggeri i monumenti simboli delle maggiori capitali europee e non solo: dalla Torre Eiffel al Colosseo, passando per le piramidi d’Egitto. Gli inquirenti stanno adesso esaminando cellulari e computer del fratello dell’indagato, Rafik, anche lui arrestato nella stessa operazione per reati legati agli stupefacenti.

L’indagine condotta dalla polizia postale di Imperia e coordinata dal pool antiterrorismo di Genova è partita da una foto sospetta ricevuta su WhatsApp da una ragazza estranea alle indagini che ha denunciato l’episodio alla polizia. L’immagine, secondo Repubblica, raffigurava una donna con un fucile ma in realtà si tratterebbe di una nota attrice indiana di Bollywood. Il lavoro degli inquirenti ha portato all’arresto in carcere di due fratelli marocchini Rafik Mezouri, 30 anni, regolare e Abdelfattah Mezouri, 27 anni, irregolare, e alla denuncia di un terzo uomo di 44 anni, residenti a Ceriale, in provincia di Savona nella stessa cittadina dove l’anno scorso uno studente di 19 anni magrebino era stato espulso perché si stava radicalizzando. Il pm Federico Manotti ha subito aperto un fascicolo per arruolamento con finalità di terrorismo. Inizialmente i tre sono stati accusati di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Adesso arriva l’accusa di terrorismo nei confronti del 27enne.

La ragazza che si è rivolta alle forze dell’ordine, 21 anni di Andora, ha ricevuto quel messaggio con la fotografia tre mesi fa. Agli agenti ha raccontato di avere prestato il suo cellulare a un profugo che stava nel centro di accoglienza di Andora, il circolo sociale Jobel. L’uomo, come lei stessa ha spiegato, l’ha avvicinata perché lei vive lì vicino e le ha chiesto di prestarle il telefono per mettersi in contatto con i parenti. Dopo alcuni giorni lo strano messaggio. Subito sono scattate le indagini su quel numero che appartiene a una utenza marocchina. Le intercettazioni hanno condotto a Castelbianco, piccolo paesino alle spalle di Albenga. Sono tre i numeri che lo contattano spesso e sono riconducibili ai tre scoperti come spacciatori: 76 volte un numero, 43 volte un altro. Dai controlli è emersa una rete di spacciatori di cocaina e hashish nel ponente ligure.

Ma per capire se oltre alla droga ci siano dei sospetti jiadisti la procura ha ordinato la perquisizione delle abitazioni dei tre fratelli che nel frattempo si sono trasferiti a Ceriale. Gli investigatori hanno sequestrato computer e telefonini ma anche carte di identità di altre persone. Il sospetto è che i documenti siano stati lasciati in “pegno” da clienti in attesa di pagare la fornitura di droga. Ma gli inquirenti hanno il dubbio che possano servire anche ad altro: usarle per complici in fuga, o per gente che deve arrivare a ingrossare le fila della possibile rete fondamentalista. I due fratelli verranno interrogati dal gip di Savona Emilio Flois.

Pm Pisa contro scarcerazione di 26enne: “Vedrete sua foto sul giornale per qualche attentato
Intanto a Pisa il pubblico ministero Angela Pietroiusti ha chiesto di non scarcerare Jalal El Hanaoui, marocchino di 26 anni, da decenni residente a Ponsacco, accusato di istigazione alla Jihad attraverso Facebook. “Non scarceratelo, è un soggetto pericoloso. Se non volete vedere la sua foto sul giornale per qualche attentato, tenetelo in carcere”. Il magistrato ha motivato così davanti ai giudici del tribunale del riesame il suo ricorso contro l’ordinanza della corte d’assiste di Pisa che un mese fa aveva concesso gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico al 26enne.

Secondo il pm, El Hanaoui, deve restare in carcere perché potrebbe “commettere reati e perché ha dimostrato di essere pericoloso: nella sua cella è stata trovata una grattugia limata a mò di arma”. Su questo punto la difesa dell’imputato ha dato battaglia spiegando “che quell’oggetto, anche in base alla sua ossidazione, sembra essere rimasto lì da molto tempo prima dell’arrivo di Jalal El Hanaoui”. Lo straniero ha reso anche dichiarazioni spontanee riferendo di “vivere una condizione psicologica estrema” perché “da innocente divido la cella con persone che hanno compiuto reati gravissimi”. “Condanno e l’ho sempre fatto – ha aggiunto rivolto ai giudici – gli attentati che hanno insanguinato l’Europa e non solo l’Europa e non ho mai aderito alle idee dell’Isis“. I suoi legali, Marco Meoli e Tiziana Mannocci, hanno chiesto “la conferma dell’ordinanza della corte d’assise, giunta dopo una camera di consiglio meditata e motivata e al termine dell’istruttoria dibattimentale”.

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