Fa il bagno in piscina vestita perché di religione musulmana e scoppia la polemica che come ogni estate vede nel mirino le donne del credo Islam che frequentano piscine o località balneari. L’ultimo dei tanti episodi è successo il pomeriggio del 9 luglio in una piscina di Fidenza, nel parmense, dove una ragazza ha deciso di festeggiare la fine del Ramadan tuffandosi in acqua con i vestiti, scatenando così le ire di esponenti di Fratelli d’Italia, Lega Nord e Forza Italia. Che hanno denunciato l’accaduto appellandosi alle norme igienico sanitarie e chiedendo che non vengano fatte deroghe per motivi religiosi.

“Nelle piscine pubbliche non si può fare il bagno vestiti per chiare ed evidenti ragioni di tutela igienico sanitaria. È vergognoso che questo sia consentito con la scusa dei motivi religiosi a dei fedeli musulmani”, ha attaccato il vice presidente dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna Fabio Rainieri (Lega Nord), che sulla vicenda ha presentato un esposto in Regione. A smorzare i toni e a proporre una soluzione è stato invece il direttore del Centro culturale islamico di Parma Mohamed Amin Attarki, che come compromesso tra dogmi religiosi e norme sanitarie ha indicato il burkini, il costume da bagno realizzato proprio per permettere alle donne musulmane di nuotare senza infrangere le regole dell’Islam. Il burkini infatti è una sorta di costume in materiali tecnici con maglia e pantaloni poco aderenti che lasciano scoperti solo viso, piedi e mani. “Le musulmane possono indossare il burkini. In questo modo non trasgrediscono né i precetti religiosi né quelli di carattere normativo”, ha dichiarato alla Gazzetta di Parma all’indomani dei fatti di Fidenza.

Ma il burkini potrebbe davvero essere la soluzione per far convivere culture e religioni diverse dentro lo spazio pubblico o privato di una piscina o di un litorale? La libertà di scelta in realtà, secondo la comunità islamica, spetta prima di tutto alle donne, come conferma Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia): “Il burkini è usato a livello mondiale, va molto di moda e non solo tra le musulmane, ma è la donna che deve scegliere il modo in cui vestirsi per andare in piscina – ha detto a ilfattoquotidiano.it – In Italia, rispetto ad altri paesi europei o agli Usa, il burkini non è ancora molto diffuso, ma l’importante è che siano le musulmane a decidere o meno di indossarlo”.

Secondo Elzir però anche gli imprenditori dovrebbero tendere la mano alle persone di credo musulmano e non solo, “pensando a dare risposte alle rinnovate esigenze della società, che è composta da persone diverse. Avere fede non deve essere un motivo di scontro, ma di ricchezza per tutti”. Nelle più importanti città italiane come Milano o Roma, per esempio, ci sono piscine che già da qualche anno prevedono orari riservati soltanto alle donne di religione musulmana, o più in generale alle donne, per dare libero accesso alle strutture senza discriminazioni.

Un’opportunità che potrebbe essere data anche agli uomini di religione islamica. “L’esigenza è anche per gli uomini – chiarisce il presidente dell’Ucoii – perché frequentare una piscina pubblica o privata mista comporta anche il contatto con donne con costumi occidentali, che quindi potrebbe portare a un conflitto spirituale. L’importante però è che si vada oltre la semplice polemica”.

All’interno della comunità la questione “burkini sì” o “burkini no” non è mai stata toccata, ma si lascia la libertà a ogni fedele di comportarsi e vestirsi come meglio crede. “Sull’argomento non ci sono direttive religiose – conferma anche Omar Camiletti, uno dei portavoce del Centro islamico di Roma che gestisce la Moschea di Roma – E’ la donna che deve scegliere in autonomia, non si devono fare spot a favore o contro il burkini. Le mie figlie per esempio non frequentano le piscine o vanno in spiaggia solo in orari in cui non c’è nessuno”. Per l’esponente della comunità romana però le strutture sono sempre più aperte alle esigenze delle persone musulmane, proprio per andare incontro ai dogmi del loro credo: “Siamo in una società aperta e il mercato cerca di soddisfare sempre più anche i bisogni dei consumatori, che sono diversi da quelli di una volta. L’importante è che la libertà di qualcuno non cozzi con quella degli altri. Siamo in Italia e bisogna vivere la fede nel rispetto delle leggi italiane”.

In realtà il burkini come soluzione definiva alla “convivenza balneare” in Italia non è ancora così assodata. Lo scorso anno a Varallo Sesia, in provincia di Vercelli, il suo utilizzo era stato vietato, mentre a Bolzano era stato esplicitamente consentito. Dove non ci sono avvisi, per non incorrere in problemi, solitamente chi indossa il burkini lo segnala alle strutture che frequenta, in modo da chiarire ogni equivoco. Paradossalmente, è quello che avrebbe fatto anche la ragazza protagonista del tuffo nella piscina di Fidenza. Secondo l’assessore allo Sport del comune parmense Davide Malvisi, infatti, la giovane avrebbe presentato “una certificazione di idoneità all’utilizzo in piscine pubbliche dei capi che indossava, appositamente confezionati per la balneazione” e sarebbe stata anche controllata dai bagnini. Gli abiti che indossava dunque erano “a norma”, forse si trattava addirittura di un burkini, anche se molto somigliante a vestiti comuni, “camicia, pantaloni e fazzoletto in testa”, assicurano i presenti. Per evitare nuove polemiche però alla ragazza, ha raccontato l’assessore, è stato consigliato di adeguarsi allo stile occidentale e di acquistare una mutina leggera, che è “immediatamente riconoscibile come capo da balneazione tecnico”. Segno che forse la strada per la convivenza a bordo vasca non è ancora così vicina.

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