Mi ha colpito l’insistenza con cui i giornalisti, prima del referendum sull’uscita o la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea, omaggiavano la chiarezza del quesito inglese. Veniva fatta vedere una scheda elettorale con una domanda che pareva ben definita: uscire o rimanere. Questo in contrapposizione ideale con i referendum italiani in cui si legge: “Volete voi abrogare la legge…. al comma… etc etc”. Non voglio difendere le astruse formule cavillose italiane, ma sottolineare come la chiarezza inglese fosse solo apparente.

Il rimanere in Europa era chiaro e codificato in quanto si sapeva con quali regole e quali trattati internazionali si sarebbe proseguito, ma l’uscire era oltremodo ambiguo. Ognuno poteva immaginare, ed effettivamente ha immaginato, una sua specifica modalità di uscita. Chi voleva uscire per l’immigrazione, chi dalle regole sull’agricoltura, chi dalla finanza e chi dal parlamento. Fra gli elettori del Leave c’erano e rimangono divergenze molto profonde anche perché l’opzione sull’uscita, ancora ora, appare molto nebulosa. Chi la gestirà? Quali accordi si potranno fare con l’Ue? Si potrà scegliere ciò che conviene e lasciare quello che non aggrada? Oppure, come succede in ogni trattativa , su parecchi argomenti si dovrà cedere? A questo punto, ultimato il lungo negoziato che fra un rinvio e l’altro durerà almeno uno o due anni, sarà facile che qualcuno si levi a richiedere un nuovo referendum su questa nuova formulazione degli accordi.

Anche nel referendum costituzionale italiano, che si terrà in autunno, appaiono delle forti ambiguità. Se vinceranno i sì ad esempio verrà riformulata e in che modo la legge elettorale? Se viceversa vinceranno i no si rimarrà con un bicameralismo paritario? Con lo stesso numero di parlamentari? Con il Consiglio nazionale dell’Economia e del lavoro (Cnel) operativo?

C’è da scommettere che i diversi fronti elettorali cercheranno di mescolare le carte dicendo in tutte le salse: “Certamente dopo il referendum faremo questo o faremo quello”. Per attrarre gli elettori entrambi gli schieramenti affermeranno che, finito il referendum, sono pronti a modificare il bicameralismo, le leggi elettorali o le provincie.

Il comitato per il Sì dovrebbe spiegare prima del referendum quali modifiche verranno o non apportate alla legge elettorale mentre quello del No dovrebbe avere la capacità di formulare una proposta di riforma istituzionale che venga accettata da tutto il comitato. Sono convinto che non lo faranno sia perché non sono affatto in accordo al loro interno sia per lasciare ambiguità e permettere che si voti ognuno propugnando una diversa soluzione futura.

Si tratta a mio avviso di un imbroglio psicologico in quanto sono trent’anni che le forze politiche continuano con questa litania di promesse mirabolanti per il futuro per non decidere nel presente.

Invece di schierarci acriticamente dovremmo tutti chiedere chiarezza ai comitati per il Sì e per il No.

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