Si presenta con il grembiule bianco addosso e le mani ancora sporche di farina. E a prima vista è difficile credere che dietro sfilatini, focacce e biscotti ci siano 25 anni passati tra tour, concerti e personaggi come Caparezza, Fabri Fibra e Ron. “Eppure ora che faccio il pane sono più famoso di quando lavoravo nello spettacolo”. Scherza davanti alla vetrina del suo negozio Oberdan Cappa, ex produttore di band indipendenti ed ex direttore di produzione di una delle multinazionali più importanti al mondo nel campo dei live. Un anno fa, sulla strada dei 50 anni, ha deciso di rivoluzionare tutto, di abbandonare la carriera nella musica per iniziare a lavorare con la pasta madre, come si faceva una volta. E oggi il suo mondo non si divide più tra palchi e pullman, ma è tutto qui, al Molino urbano, una panetteria appena fuori dal centro storico di Bologna con il laboratorio a vista, dove si cucina come 100 anni fa.

“Di sicuro non ho lo stipendio di prima, quando venivo pagato come un dirigente, ma ci ho guadagnato in salute. Non sono pentito di niente. Anzi ogni giorno che passa sono sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta”. I ritmi per lui sono diversi da quelli di una qualsiasi panetteria. “Qui – racconta mentre inforna una pizza – usiamo la pasta madre al posto del lievito di birra e la tecnica del freddo”. Significa che per ogni pagnotta ci vogliono 18 ore di lievitazione, invece delle 3 ore tradizionali. “Diciamo che facciamo il mestiere come si faceva prima della guerra. Siamo tornati indietro, ma la qualità è migliore: il nostro pane è fatto con farine non raffinate di produttori locali, è più salutare e più digeribile”.

“Facciamo il mestiere come si faceva prima della guerra. Siamo tornati indietro, ma la qualità è migliore. E il nostro pane è più salutare e più digeribile”

Tra le pareti colorate di giallo del Molino urbano è iniziata la sua seconda vita. Quella precedente appartiene a un universo distante anni luce dalla panificazione. “Ho iniziato a 18 anni, con i 99 Posse. Lavoravo principalmente nel circuito alternativo”. Siamo agli inizi degli anni Novanta. Dopo la prima tournée, fatta quasi per gioco, le cose si fanno più serie. “Presto ci siamo strutturati, aprendo la prima agenzia che si occupava di rap indipendente in Italia: la Incredibile opposizione management. Ho lavorato con i Sangue misto, Neffa, Kaos, Dj Gruff, inizialmente come tour manager poi anche come produttore”.

L’arrivo di internet all’inizio degli anni Duemila e il crollo della vendita dei cd stravolgono il mercato. E sono soprattutto le piccole realtà come la sua a subirne le conseguenze peggiori. “Sono stato costretto a dedicarmi ai live, con un contratto come direttore di produzione per una grossa realtà. La mia vita andava così: partivo a metà aprile e tornavo a metà ottobre. Ero sempre in giro per concerti. Mi occupavo degli alberghi, delle cene e dei vari bisogni degli artisti, dei loro staff e di tutti i tecnici. Dei vizi e dei capricci delle star”. La lista dei musicisti è lunga. Impossibile citarli tutti. “C’è stato Caparezza, ad esempio, mio grande amico. E poi Eugenio Bennato, James Senese, Morgan, Pupo, Malika Ayane e Ron. Ma se nella scena indipendente il lavoro era appassionante e divertente, quando sono passato a gruppi di alto livello ho conosciuto un ambiente popolato da pesci cane. Un mondo disumanizzato e senza rispetto”.

“Quando sono passato a gruppi di alto livello ho conosciuto un ambiente popolato da pesci cane. Un mondo disumanizzato e senza rispetto”

Così un anno fa, dopo un concerto di Roy Paci, decide di cambiare rotta. “Un giorno la mia compagna è tornata a casa con un libro sul pane fatto in casa. Da lì è nata una passione, che poi si è trasformata in un lavoro. Ho seguito corsi e stage sulla lievitazione naturale e dopo un anno e mezzo di preparazione ho inaugurato, insieme alla mia socia, Molino urbano”. La panetteria è aperta da circa tre mesi. “Di sicuro potevo lavorare altri 15 anni nella musica. E tanti mi hanno detto ‘sei pazzo’. Ma io invece che farmi venire un’ulcera ho preferito mollare tutto. Non rinnego nulla e non ho rimpianti. Semplicemente mi ero stancato e ho voluto reinventarmi con qualcos’altro. È stata una scelta che mi ha reso più felice. E sono convinto che tanti miei ex colleghi, anche se non lo ammettono, in cuor loro desiderano fare come me: cambiare vita”.

Articolo Precedente

Strage di Monaco, l’incubo personale dei killer adolescenti

next
Articolo Successivo

Rifugiati, Msf: “Oltre il 60% presenta disagio mentale”. Il medico: “Poche risorse, difficile seguirli tutti”

next