In data 14 luglio, il quotidiano La Stampa ha pubblicato nella sua versione online una lettera in cui la Procura della Repubblica di Torino risponde al regista Paolo Virzì, lettera in cui, sostanzialmente, difende il suo operato stessa nei processi aventi per oggetto reati, veri o presunti, commessi da rappresentanti del Movimento No Tav.

Sono orgoglioso di aver fatto parte del pool dei legali No Tav, anche con una certa “competenza territoriale”, posto che risiedo in Val di Susa ed ho seguito dall’inizio la vicenda della nuova linea ferroviaria. Ricordo ancora bene quando era previsto che la linea, tratteggiata con il pennarello su una mappa, uscisse dalla montagna all’altezza di Caprie e spazzasse via un istituto di suore! Questo per dire della serietà con cui la linea fu ipotizzata.

Ed in quella veste di difensore che ho indossato mi permetto di replicare brevemente alla lettera che la Procura della Repubblica ha inviato al direttore de La Stampa.

Premesso che appare alquanto singolare che in tutti questi anni non si siano individuati i rappresentanti delle forze dell’ordine che hanno commesso reati, che pure si sono verificati (ricordiamo per tutti il pestaggio di persone inermi nel dicembre 2005 a Venaus), premesso altresì che un colloquio con un Procuratore della Repubblica mi convinse (caso mai ce ne fosse stato bisogno) di quello che eufemisticamente definirei un “giudizio fortemente critico” che animava l’ufficio nei confronti del Movimento No Tav e non so quanto questo abbia influito sulla serenità delle accuse, ciò premesso, voglio solo fare un breve excursus, che ritengo imprescindibile, sulla differenza fra ciò che dal mio punto di vista è legale e ciò che è giusto.

Ammettiamo pure per un momento che la linea ad alta velocità Torino-Lione sia legale. Ciò detto, tutti conoscono, ed i magistrati in primis, la profonda differenza che corre fra legale e giusto. Una “cosa” può essere perfettamente legale, ma non per questo “giusta”. Per un sacco di azioni umane legali la storia ha poi dimostrato come fossero profondamente ingiuste. Le opere pubbliche, in particolare, spesso capita che siano legali ma tutt’altro che giuste. Che, in particolare, siano frutto di concessioni a lobby economiche e non il frutto di una serena valutazione sulla necessità di realizzare le opere. Ecco: pur ipotizzando che la Tav Torino-Lione sia legale, sicuramente non è giusta; in particolare, nello specifico, non è necessaria.

La linea storica è tutt’altro che satura, lo sanno bene anche i promotori del progetto visto che, ed è un dato oggettivo, le merci non viaggeranno mai su rotaia se non si cambierà la politica dei trasporti che in Italia ha sempre privilegiato (grazie alla più forte lobby) la strada del treno. Non è necessaria, in compenso è devastante come qualsiasi grande opera che venga realizzata in corridoi angusti come sono le valli alpine. In più mettiamoci l’amianto e magari anche l’uranio che si incontreranno negli scavi. Aggiungiamo le vene d’acqua che si disperderanno. E non trascuriamo l’enorme massa di smarino che dovrà trovare una collocazione. Quindi, in tutta, diciamolo pure, “onestà”, ammettiamo che l’opera non serve se non alle imprese costruttrici. Personalmente, ricordo bene quando Berlusconi, ancora non presidente del Consiglio, affermò che per diminuire il debito pubblico sarebbe occorso rinunciare alle opere inutili come la Tav Torino-Lione. E quando Renzi, sempre prima di diventare capo dell’esecutivo, affermò che la Tav poteva anche essere inutile, ma ormai tutto era già stato deciso.

Peraltro, in realtà, se dobbiamo dare retta al Tribunale Permanente dei Popoli, che esprime valutazioni morali su questioni di interesse pubblico, la procedura per realizzare la linea voluta dalle lobby non è stata nemmeno legale. Con sentenza emessa dopo lunga e minuziosa istruttoria in data 5-8 novembre 2015, esso ha sancito (scusate la prolissità) che:

“in Val di Susa si sono violati i diritti fondamentali degli abitanti e delle comunità locali. Da una parte, quelli di natura procedurale, come i diritti relativi alla piena informazione sugli obiettivi, le caratteristiche, le conseguenze del progetto della nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione (conosciuto come Tav), previsto inizialmente nell’Accordo bilaterale tra Francia e Italia del 29 gennaio 2001; di partecipare, direttamente e attraverso i suoi rappresentanti istituzionali, nei processi decisionali relativi alla convenienza ed eventualmente, al disegno e alla costruzione del Tav; di avere accesso a vie giudiziarie efficaci per esigere i diritti sopra menzionati. Dall’altra parte si sono violati diritti fondamentali civili e politici come la libertà di opinione, espressione, manifestazione e circolazione, come conseguenze delle strategie di criminalizzazione della protesta che saranno dettagliate più avanti; che queste violazioni si sono realizzate tanto per commissione che per omissione. Da un lato, la omissione di uno studio serio di impatto ambientale del progetto nel suo complesso, prima della sua autorizzazione; non si è garantita una informazione completa né veritiera in tempi sufficientemente precoci alle comunità coinvolte; si sono esclusi gli individui e le comunità locali da ogni procedura effettiva di partecipazione nella deliberazione e nel controllo della realizzazione delle opere, simulando anzi procedure di partecipazione fittizie e inefficaci; non si è dato corso ai procedimenti attivati nei tribunali per far valere i diritti di accesso alla informazione e alla partecipazione nei processi decisionali. D’altra parte ci sono le violazioni che sono il prodotto di azioni deliberate e pianificate: la diffusione di informazioni contenenti falsità e manipolazione dei dati relativi alla necessità, alla utilità, all’impatto dei lavori; la simulazione di un processo partecipativo con l’istituzione dell’Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino Lione, che arriva ad escludere i dissidenti (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 gennaio 2010), e ad annunciare un accordo inesistente, il cosiddetto Accordo di Pra Catinat del giugno 2008, utilizzato largamente nei rapporti con l’opinione pubblica e le istituzioni europee; la adozione di misure legislative aventi come obiettivo l’esclusione della partecipazione dei cittadini e delle comunità locali; la strategia di criminalizzazione della protesta con pratiche amministrative, legislative, giudiziarie, di polizia, che includono anche la persecuzione penale sproporzionata e la imposizione di multe eccessive e reiterate, l’uso sproporzionato della forza”

Parole di una chiarezza e di una gravità enorme. E forse non è un caso, del resto, che addirittura illustri ex magistrati come Livio Pepino e Ferdinando Imposimato siano da sempre contrari per ragioni oggettive all’alta velocità. In particolare, Imposimato ne ha evidenziato i collegamenti con il mondo della malavita. Giusto, in questi giorni, i senatori della Repubblica Airola e Scibona hanno saggiamente affermato: “Siamo contrari alle grandi opere perché sono l’emblema dell’infiltrazione dell’illegalità”.

Un’opera ingiusta e solo utile a chi costruisce, e nel contempo un’opera illegale, che porterà distruzione e morte. Forse si può anche capire che la gente della Val di Susa sia un po’ incazzata e, anche senza arrivare a giustificarla (me ne guardo bene), si può capire la violenza che molti hanno manifestato. Concludo affermando che, date tali premesse, non invidio per nulla i Procuratori della Repubblica che debbono operare in questa materia, e, francamente, non so come uno di loro ipoteticamente residente in Val di Susa reagirebbe di fronte ad una brutta vicenda come questa della Tav Torino-Lione, per la quale un’intera popolazione è insorta e la cui lotta rimarrà nei libri di storia.

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