Sono arrabbiata.
E non perché c’è qualcuno là fuori che insinua che non potrei/dovrei indossare gli shorts (per altro nella mia taglia 46 mi stanno benissimo) ma perché passano gli anni e tutto resta fermo. Malgrado le diverse forme di protesta nate negli ultimi tempi, niente potrà cambiare fin quando non nascerà un’ondata impetuosa che faccia presa sulle coscienze di tutta la società civile, uomini e donne insieme.

La trasformazione deve avvenire su due canali, quello sociale e quello mediatico.

Il fatto che Io Donna abbia insultato pubblicamente una ragazza perfettamente magra è di per sé un’assurdità rasente l’idiozia. In un paese col senso del giusto e del lecito, il genio che ha partorito quella didascalia dovrebbe essere rimosso verso lidi più consoni, magari a scrivere di orticoltura o sagre paesane, possibilmente a parlare di cose inanimate. Ma l’Italia non è un paese normale bensì la terra che tutto legittima: dai politici omofobi ai dirigenti razzisti, dai commentatori marpioni ai giornalisti sessisti. Tutti in corsa a chi la spara più grossa, tanto il popolino, con un’allegra risata scorderà tutto. La leggerezza offensiva con cui vengono riempite le pagine di giornali, blog e programmi tv sono lo specchio di una società su cui tutto scivola, incapace di indignarsi oltre una scrollata di spalle, interessata più a scalare i livelli di Candy Crash o a trovare Pokemon.

Aggiudicarsi l’attenzione mediatica tramite Twitter sull’orgoglio del proprio corpo, qualsiasi esso sia, è lodevole ma non è sufficiente per parlare di conquista. Il problema è la percezione della realtà, distorta anche tra quelli che stanno dalla parte giusta della barricata.
Alla campagna #iodonnaconglishorts hanno partecipato anche ragazze con una taglia 42 o altre con fisici oggettivamente magri, per nulla curvy, con l’assunto che anche loro fanno parte dell’universo delle “non così magre”.

Da quando la taglia 42 non è vista come una taglia per donne magre?

E’ ora di mandare tutto all’aria e sradicare il parametro di partenza, metterlo fuorilegge. Se il criterio su cui vengono basate le misure è una taglia 36, va da sé che una 42 sia curvy e una 46 diventi una taglia forte. Salvo pochi casi frutto di una naturale costituzione, una donna con taglia 36 è una donna sottopeso, denutrita e l’ostracismo con cui il mondo della moda cerca da sempre di affossare l’argomento anoressia tra le modelle è rivoltante.

Da qualche anno le modelle curvy hanno attirato l’attenzione su di sé, e i media hanno cominciato a dedicare loro spazio, ma è destinato a restare uno specchietto per le allodole se tutto il contorno resta immutato e in copertina campeggiano sempre i soliti scheletri.

Come è possibile celebrare la diversità del proprio corpo quando la collettività non fa altro che avvalorare segnali in tutt’altra direzione?

Se vogliamo riprendere in mano l’uso esclusivo del nostro corpo ed essere libere di essere quanto e come vogliamo, ci vuole un terremoto di altra magnitudo, bisogna alzare i paletti. Non so voi ma io sono arcistufa delle onnipresenti foto in bikini delle solite note o degli articoli sulla starlette di turno che ha ripreso la sua forma fisica a pochi giorni dal parto.

L’eccessiva magrezza, quella malsana frutto di diete affamanti e indicibili soste al bagno, deve essere rimossa dalle passerelle, dalla pubblicità, dalla televisione.
Per ribaltare le sorti del nostro tempo ci vuole una rivoluzione che parta dalla rivendicazione dei nostri diritti. Le campagna sui social non sono abbastanza perché effimere, bei messaggi che affogano nell’oceano di altre decine di migliaia di foto e parole.

Ce ne dimentichiamo spesso ma nelle nostre mani risiede un potere enorme, soprattutto nel momento in cui decidiamo cosa comprare e cosa scartare. L’arma del boicottaggio può ridurre al silenzio, fino a far scomparire, è uno strumento più efficace di qualsiasi tam tam mediatico. Smettere di comprare giornali o prodotti lesivi della nostra dignità è uno dei dissensi più rumorosi che le donne possano attuare.

Questa lotta non è più solo per noi ma per le nostre figlie, le donne di domani.

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