Le cose sono troppe, sempre. Ci opprimono. Sono stalker, ci perseguitano; hanno un’anima e ci osservano, dagli scaffali, pronte a saltarci addosso. Anzi ci sono già addosso, ci tolgono l’aria per respirare. Sono un’ossessione. E aumentano! Come forse ogni oppressore, in realtà soffrono: soffrono di venir ammassate in armadi, scatole, scatoline e scatoloni; soffrono di non venir usate, di non venir toccate, di non potersi rendere utili.

Ho appena letto due libri, di due autrici giapponesi, che mi hanno aperto gli occhi al riguardo: Marie Kondo, Il magico potere del riordino, e Nagisa Tatsumi, L’arte di buttare, come liberarsi delle cose senza sensi di colpa, entrambi editi in italiano da Vallardi. Soprattutto il primo lo si può leggere come una metafora: liberandoci delle cose che non usiamo regolarmente ci liberiamo dell’insicurezza, di dubbi e paure – e infatti “far spazio”, “far pulizia”, “tagliare i rami secchi”, sono azioni metaforiche e liberatorie, rallegrano.

La mia tendenza, rispetto alle cose, è sempre stata quella di cercare di salvarle dall’umiliazione della discarica, per cui cercavo di riciclarle, portandomele a casa – se le trovavo accanto al cassonetto – o in quei negozi che vendono cose usate, investendo gli introiti in beneficenza (Oxfam, Humana). Ora so che anche vegetare inutilizzate in casa mia, fissandomi dagli scaffali, è per loro una vita ben grama. Le cose infatti esistono per migliorarci la vita e quindi darci gioia, se solo ce ne rendiamo conto. Per cui, spiega Marie Kondo, il metodo che ci aiuta a sbarazzarci di tute le cose inutili e a rimetterle in circolazione dando loro un’altra opportunità di rendersi utili con qualcun altro è un esercizio di consapevolezza: prenderle in mano con attenzione amorevole, ringraziarle per essere state con noi e chiederci se ci sentiamo (ancora) emozionati e felici, con loro; se non è questo il caso: vanno buttate, riciclate, regalate, rimesse in circolo.

Stranamente avevo cominciato a regalare montagne di libri alla biblioteca e vestiti alla Caritas già prima di leggere questi libri: a volte le idee circolano nell’aria che si respira. Quando morirò – mi son detta – per gli altri tutte le cose che a me dicono qualcosa, compresi gli amati libri, non saranno che un peso di cui liberarsi. Per cui cerco di dare una mano in anticipo, e almeno elimino quelle cose che si sono raccolte intorno a me per disattenzione, per viscosità della materia, per via del famigerato pensiero “non-si-sa-mai-potrebbe-servire-ancora”.

Marie Kondo è l’esperta mondiale del fare ordine: a New York si dice già to kondo per parlare del repulisti globale dei propri averi – eliminandone una gran parte. Nel nostro rapporto con le cose siamo legati alla mentalità di qualche generazione fa, quando le cose erano costose, rare e preziose. La mia mamma, nata negli anni trenta, raccontava che da ragazzina aveva un solo paio di scarpe; quando si ruppero prese a prestito quelle di sua nonna, per poter uscire ad acquistarne un nuovo paio. Le cose allora si usavano consumandole fino in fondo, finché davano la loro esistenza per noi. Mentre per paradosso nel cosiddetto “consumismo” di oggi non le consumiamo più affatto.

La mentalità cambia più lentamente delle circostanze: ora in molti abbiamo case piene di armadi pieni di vestiti, di ripostigli, scansie e cassetti pieni di scarpe, borse, libri, carte varie; ci sentiamo in colpa a buttarli, non si sa mai, potrebbero ritornarci utili. Ormai da tempo l’economia si basa sul consumismo, per cui vivendo in modo ascetico, con poche cose e acquistandone il meno possibile in fondo non faremmo il nostro dovere di consumatori. Si riprenderà mai l’economia se scegliamo la parsimonia e l’estetica zen della casa vuota?

Prenderci cura delle cose davvero importanti, dare il di più a centri di raccolta per chi non ha abbastanza, non comperare a cuor leggero: “Impariamo a guardare ogni cosa che entra nel nostro campo visivo come qualcosa che può essere buttato” – scrive Nagisa Tatsumi e aggiunge: “Pensare che potremmo pentirci ci impedisce di buttare. Eppure, esistono davvero delle cose senza le quali avremmo dei problemi, una volta buttate?”. Me le immagino, le grandi “colline del tutto”, dove le persone portano le loro cose in più, a disposizione di chi ne ha bisogno. Forse ci aggrappiamo alle cose per paura della fine – siamo tutti di passaggio: loro nelle nostre case, noi umani sul pianeta Terra.

Articolo Precedente

Ahlam Mostaghanemi, la condizione femminile e i drammi del mondo arabo

next
Articolo Successivo

Libri estate 2016, gli otto noir imperdibili secondo Joe Lansdale

next