Da alcuni giorni assistiamo impotenti a ciò che sta succedendo in Turchia, un grande Paese tradizionalmente ponte tra Occidente e Oriente, tra culture e sensibilità diverse. Per anni, a partire dagli inizi del XX secolo, la Turchia ha manifestato una tormentata tensione verso l’adozione dei valori e dei modi di organizzazione delle democrazie occidentali; un processo non senza difficoltà e contraddizioni, ma costante. Adesso ciò che sta succedendo in Turchia è il segno di una involuzione verso modalità autoritarie e repressive che non possono coesistere con la dichiarata intenzione del governo turco di fare parte della comunità delle nazioni fondate sullo Stato di diritto.

Si è colto il pretesto di un putsch militare fallito per rimuovere dalle loro posizioni migliaia di cittadini, senza un adeguato processo ma basandosi su elenchi di personalità sgradite al governo che non potevano non essere stati predisposti in anticipo. Magistratura e istruzione i settori più colpiti, con migliaia di licenziamenti e arresti, paradossalmente molti di più rispetto al settore delle forze armate.

Tutto questo getta un’ombra fosca sul futuro della democrazia turca, fondata sul principio della laicità dello Stato da Kemal Ataturk agli inizi del secolo. Si tratta di uno sviluppo che avvicina tristemente la Turchia alla storia europea degli anni Trenta, con le politiche repressive e di controllo messe in atto negli Stati totalitari.

Come donne e uomini impegnati nella ricerca e nell’insegnamento, seguaci del metodo scientifico e cultori del valore dello spirito critico, non possiamo non levare alto e con forza il nostro grido di allarme, oltremodo preoccupati che tanti colleghi e colleghe di valore siano stati privati della loro libertà di insegnamento, licenziati, perseguiti perché considerati non in linea con il governo. Non possiamo non preoccuparci quando vediamo che tanti studenti turchi non potranno più partecipare agli scambi universitari che l’Unione europea considera un potente strumento di integrazione e condivisione di esperienze diverse, eliminando così il principale strumento per la creazione di una Turchia integrata nel sistema valoriale delle democrazie avanzate.

Per questo lanciamo un appello alle istituzioni, alla politica, a tutte le cittadine e i cittadini che hanno a cuore la persistenza dei valori della democrazia liberale e della convivenza pacifica tra culture diverse: non facciamo finta di nulla. Sarebbe un alibi e un precedente che giustificherebbe qualsiasi involuzione autoritaria anche all’interno dei Paesi già membri dell’Unione europea. L’indifferenza genera mostri famelici e pericolosi, noi europei lo sappiamo bene, e Martin Niemöller lo espresse bene raccontando dell’indifferenza dei tanti verso il totalitarismo nazista: “Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Non possiamo quindi far finta che la cosa non ci interessi o non ci tocchi, sarebbe un grave errore.

1. La politica e la diplomazia premano quindi sul governo turco per far cessare le epurazioni, indegno simbolo di una triste storia che l’Europa ha respinto a prezzo di milioni di vite;
2. Le università occidentali dimostrino solidarietà e accoglienza verso i colleghi turchi, pensando ad esempio a forme di invito con la formula del visiting scholar/professor per i colleghi turchi che sono stati licenziati; lo stesso si faccia nei confronti degli studenti, permettendo e pensando forme di mobilità alternativa a quelle che il governo turco sta cancellando. Le dichiarazioni di solidarietà come quella espressa dall’Eua sono benvenute, ma occorrono passi concreti.
3. Tutte le comunità occidentali mandino quindi un segnale forte di solidarietà al governo turco per condannare il tentativo eversivo, ribadendo però che tale solidarietà è subordinata al rispetto delle regole che pure la Turchia ha dichiarato in passato di voler accogliere e rispettare.

L’Unione Europea non è solo un grande mercato unico ma è comunità riunita intorno a valori comuni, che condivide lo stesso fine e gli stessi obiettivi. Per questo motivo non si può accettare un’Unione che non faccia valere questi valori, li sostenga, li difenda, li testimoni, altrimenti non merita di promuovere l’adesione della Turchia all’Unione (né quella di qualsiasi altro Paese). La Turchia e la sua situazione chiamano alla prova l’Europa, e siccome dobbiamo ricordarci che prima di tutto l’essenza dell’Europa è l’esistenza di milioni di uomini e donne che la vivono ogni giorno e che non vogliono vedere i diritti dei loro vicini turchi calpestati, neanche sulla base di un consenso plebiscitario artefatto, non possiamo permetterci di voltarci dall’altra parte.

R29A rivolge questo appello a tutte le donne e gli uomini che abbiano a cuore cultura, sapere, libertà, diritto.

Per adesioni, inviare una mail con città e/o istituzione di afferenza a unifreedomforturkeynow@gmail.com

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