C’è chi ha già la valigia in mano, certamente non a causa delle vacanze estive ormai alle porte. Chi è incerto sul da farsi e se ne sta a guardare l’evolversi della situazione e ancora chi ha deciso di non muoversi. Salvo tenere a specificare: “Almeno per ora”. Dopo le dimissioni di Renato Schifani da capogruppo di Area popolare a Palazzo Madama, tra le file dei gruppi che in Parlamento riuniscono Ncd e Udc non sono tutti così sereni. In primis gli alfaniani. Che, se all’esterno provano a mostrare una compattezza granitica, all’interno si ritrovano logorati da divisioni e lotte di potere che, com’è ovvio, non possono far dormire sonni tranquilli ad Angelino Alfano. Finito sul banco degli imputati per una linea che, a detta dei maligni, è ormai “totalmente appiattita sulle posizioni del governo e del Pd”. Non certo un attestato di stima nei suoi confronti. Dal canto suo il ministro dell’Interno proverà a serrare i ranghi con una no-stop di 24 ore (da questo pomeriggio fino a domani mattina) per approfondire i contenuti della Finanziaria, il modello organizzativo che ci porterà a sostenere il Sì al referendum e il lavoro sui contenuti che dovranno sempre più precisare il nostro indirizzo politico”, come ha spiegato ieri al termine della riunione del gruppo di Ap alla Camera. Seguita a quella di Palazzo Madama che ha visto la nomina per acclamazione di Laura Bianconi a nuovo capo dei senatori.

CIAO CIAO ANGELINO – Ma proprio l’incontro di ieri al Senato ha visto suonare più di qualche campanello d’allarme. Oltre a Schifani, alla riunione erano assenti fra gli altri anche Giuseppe Esposito e Antonio Azzollini. Due che ormai dentro Area popolare sono dei veri e propri pesci fuor d’acqua. Il primo, pochi giorni fa, ha auspicato le dimissioni di Alfano da segretario di Ncd. E l’uscita del partito dal governo oltre che la ricostruzione di un’area moderata (di fatto un nuovo apparentamento con Forza Italia per tornare al Pdl); il secondo, interrogato sui motivi legati alla mancata partecipazione al vertice, ha commentato laconico: “Vorrei ricordare che non ho votato né l’Italicum né la riforma costituzionale…”. Recentemente, è bene ricordarlo, entrambi hanno preso parte all’assemblea dei senatori del centrodestra riunitasi per coordinare le iniziative per il No al referendum costituzionale. La stessa lunghezza d’onda su cui viaggiano anche gli Udc Lorenzo Cesa e Antonio De Poli, mentre Pierferdinando Casini e Gianpiero D’Alia sostengono le ragioni del Sì. “Dire che in questo momento Cesa e Casini non si amino è un eufemismo”, annotano alcuni loro colleghi di Ncd con cui hanno dato vita ad Area popolare. Colleghi attentissimi ai dettagli come l’assenza della componente dell’Udc alla riunione che ha incoronato la nuova capogruppo al Senato. “Forse avrebbero desiderato che la scelta fosse caduta su uno di loro, magari il vicario di Schifani, Luigi Marino: con Bianconi è stata fatta una scelta diversa”.

MAL DI PANCIA – Ma i mal di pancia non sono finiti qui. Sempre ieri due deputati, Alessandro Pagano (Ncd) e Angelo Cera (Udc), comparivano tra i partecipanti ad un’iniziativa dal titolo Quale centrodestra? Un contributo di idee per tornare a vincere, che si è svolta al Capranichetta di Roma alla presenza di esponenti di Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia. Anche Pagano è ormai totalmente in rotta con la linea del partito, tanto da essersi autosospeso dallo scorso 11 maggio dopo l’approvazione del disegno di legge sulle unioni civili. E Cera? Ha già fatto sapere che al referendum d’autunno voterà “no”. Poi ci sono quelli che in questi giorni sono diventati indecifrabili. “Difficile capire come si comporterà il gruppo finora unitissimo dei calabresi. Quelli, per intenderci, di Antonio Gentile, Piero Aiello, Giovanni Bilardi e Nico D’Ascola, diventato da pochi mesi presidente della commissione Giustizia del Senato. E che comprende persino Guido Viceconte. Che in realtà sarebbe lucano”, dice un osservatore particolarmente attento dei fatti del Senato. Dove anche il più piccolo cambio di casacca conta eccome per la tenuta del governo. E che farà il gruppo dei siciliani, ancora più numeroso e legato da antico sodalizio? Oltre alla Vicari che resta per certo filogovernativa come pure Bruno Mancuso, che posizione prenderanno Giuseppe Marinello, Pippo Pagano, Marcello Gualdani e Salvatore Torrisi. “Che farà il sottosegretario al Lavoro, Massimo Cassano, considerato vicinissimo a Schifani?”

CHIUSO PER REFERENDUM – Come detto, comunque, all’interno di Ncd in molti provano a gettare acqua sul fuoco. L’elezione di Laura Bianconi “è la dimostrazione che il gruppo a Palazzo Madama sta con Alfano e che è riconosciuto da tutti come il leader”, è l’entusiastico commento di uno dei maggiorenti del partito che preferisce l’anonimato. I fedelissimi del numero uno del Viminale, fra cui figurano la ministra Beatrice Lorenzin, la stessa Bianconi e la sottosegretaria alla Giustizia Federica Chiavaroli (due donne di una certa caratura che hanno un ottimo feeling anche con Matteo Renzi e Maria Elena Boschi), tengono a precisare che tutte le decisioni saranno rimandate a dopo il referendum. Fermo restando la manifesta volontà di rimettere mano all’Italicum (premio alla coalizione ed eliminazione del doppio turno fra i desiderata), il cui impianto, al momento, rischia di sbarrare l’ingresso in Parlamento all’ex delfino di Silvio Berlusconi e soci. Ma “fino a quella data – spiega un altro esponente del partito – noi appoggiamo il governo, dopo decideremo cosa fare”. Anche in questo caso la distanza di vedute è significativa. Il timore di molti è infatti quello che, in caso di una vittoria della consultazione popolare sul ddl Boschi, il presidente del Consiglio lascerebbe comunque Alfano a mani vuote. Circostanza che, dopo aver lavorato pancia a terra per sostenere i motivi del Sì, per gli alfaniani vorrebbe dire chiudere qualsiasi ipotesi di dialogo con Forza Italia, fervente fautrice della campagna per far fallire le modifiche alla Carta, rimanendo così in mezzo al guado.

COSA FARÒ DA GRANDE – Ma la questione di fondo resta una sola: cosa vuole fare Ncd da grande? Le distanze interne sono siderali. Da un lato c’è chi auspica di trasformare l’alleanza istituzionale con il Pd in un’alleanza politica. Oltre al terzetto Lorenzin-Chiavaroli-Bianconi, in questa lista figurano anche la sottosegretaria allo Sviluppo economico Simona Vicari oltre a Fabrizio Cicchitto, Sergio Pizzolante e nomi meno noti, ma non meno significativi. La loro convinzione è che ci sia una fetta di elettorato disponibile ad appoggiare le riforme di Renzi, ma non a votare il Pd. “Una fetta che potrebbe valere un 15 per cento di voti, uno spazio politico mica male”. Ma bisogna muoversi prima della pausa estiva. Perché se il referendum fallisse potrebbe chiudersi la parabola di Renzi. Senza aver ottenuto la modifica della legge elettorale, che per Ncd è esistenziale, le urne rappresenterebbero un’ecatombe.

RITORNO A CASA – Su posizioni diametralmente opposte, a parte Schifani (che non ha escluso un suo immediato ritorno in Forza Italia) e i suoi preme il gruppo dei milanesi. L’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni convinto che Renzi consideri assai poco il partito di Alfano. Ma anche l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini e lo stesso Maurizio Lupi che invoca l’alternativa centrista al governo Renzi. E Maurizio Sacconi. “Il confronto elettorale di Milano – ha scritto l’ex ministro del Lavoro in una lettera indirizzata ad Alfano – ha dimostrato come sia ancora possibile una competizione prevalente tra liberal-popolari e social-democratici isolando la nuova sinistra radicale a cinque stelle”. Tradotto: per voltare pagina occorre riproporre quell’alleanza che nel capoluogo lombardo, malgrado la sconfitta, ha visto il centrodestra unito sfidare al ballottaggio il candidato di Renzi, Giuseppe Sala. Come andrà a finire? Se ne riparlerà in autunno. Sperando che per Ncd non sia già troppo tardi.

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