Chi pensava che la retribuzione del lavoro accessorio tramite voucher fosse precarizzante si prepari: c’è anche di peggio. Iniziano infatti a spuntare casi di lavoratori super-precari pagati in parte anche con buoni pasto. Nella maggior parte dei casi significa retribuzioni più basse e nessuna copertura previdenziale e assicurativa. La denuncia porta la firma della Cgil Toscana e riguarda un fenomeno cominciato a affiorare a fine 2015, soprattutto in ristoranti e bar. I casi accertati sono al momento una decina, la maggior parte a Firenze: “Temiamo che si tratti solo della punta dell’iceberg”, dice a ilfattoquotidiano.it Luana Del Bino, coordinatrice regionale degli uffici vertenze. Il governatore Enrico Rossi, parlando con Il Tirreno che per primo ha acceso i riflettori sulla questione, ha chiesto di “arrestare chi lo fa” perché “questa non è neanche una forma di degrado: è una violazione della dignità del lavoratore”. Giuseppe Civati (Possibile) sul suo blog parla ironicamente di “supervoucher”, poi attacca: “Se le imprese faticano a stare sul mercato è una brutta notizia. Ma costringere i lavoratori a stare al di sotto delle condizioni di umanità lo è anche di più”.

“Casi analoghi nel mondo della vigilanza, delle mense e delle pulizie” – Il ricorso ai buoni pasto per pagare i precari non stupisce Cisl e Uil: “E’ aberrante: casi simili esistono purtroppo anche nel mondo della vigilanza, delle mense e delle pulizie” conferma al Fatto Marco Conficconi, segretario regionale Uiltucs. “La fantasia di alcuni datori di lavoro è senza fine, di questo passo si arriverà al baratto“, attacca Carlo Di Paola, segretario toscano Fisascat-Cisl. I lavoratori che si sono rivolti alla Cgil per denunciare la loro condizione sono soprattutto lavapiatti e semplici addetti alle pulizie della cucina, la maggior parte di essi 55enni disoccupati di lungo corso senza più ammortizzatori sociali oppure giovanissimi.

“Il pagamento tramite buoni pasto è illegittimo” – Il pagamento tramite buoni pasto – precisa la Cgil – è “illegittimo”. Il ticket nasce infatti “non per pagare il lavoro ma come benefit per le ditte che non sono dotate di mensa aziendale”. Il sindacato evidenzia le “controindicazioni” a livello economico, previdenziale e assicurativo. Il taglio minimo del “buono lavoro” è ad esempio di 10 euro (equivalente a una retribuzione oraria di 7,5), il doppio di quello previsto per i buoni pasto. Le coperture Inps e Inail? Un voucher di 10 euro garantisce 2,5 euro di contributi previdenziali e assicurativi mentre i ticket fino a un importo giornaliero di 5,29 euro non prevedono alcuna copertura. Dalla Cgil fanno inoltre notare che i buoni pasto sono spendibili sono in determinati circuiti e in alcuni casi solo dopo mesi dalla loro emissione. “Peggio di così – attacca Del Bino – c’è solo la retribuzione totalmente in nero”.

Un mix a base di lavoro nero, voucher e buoni pasto – Per pagare il lavoro accessorio – prosegue Del Bino – si inizia a ricorrere sempre di più a una sorta di “mix” tra “paga in nero, voucher e buoni pasto”. L’esponente Cgil ricorda ad esempio il caso di un lavoratore di un ristorante di Pistoia “inizialmente retribuito in nero, in secondo tempo pagato con buoni pasto, poi retribuito con voucher, successivamente assunto per un periodo di prova di 2 mesi e infine licenziato per non aver superato la prova”. Nessuno stupore per Di Paola: “Nel mondo degli appalti ne ho viste di tutti i colori. In passato un titolare aveva pagato formalmente il lavoratore tramite assegno, salvo poi richiederne indietro la metà dell’importo”.

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