Sono almeno cinque i profili di incostituzionalità che si possono ipotizzare per la disciplina del bail-in. La norma meno difendibile è quella che applica le nuove regole anche ai rapporti sorti prima della loro entrata in vigore. Perché il Parlamento rimanda il problema alla Corte costituzionale.

In contrasto con cinque articoli della Costituzione

La nuova disciplina sul bail-in (decreti legislativi 180 e 181 del 2015, in recepimento della direttiva 2014/59/Ue) impone di gestire la risoluzione delle banche in crisi senza far gravare i costi dei salvataggi sulle casse pubbliche. Al contrario, è previsto che – almeno in prima battuta – ne risponda chi con la banca ha rapporti diretti: azionisti, obbligazionisti e, in più limitata misura, correntisti.
I profili di possibile incostituzionalità sono almeno cinque.

Articolo 3 – La normativa prevede che ad azionisti e obbligazionisti vengano azzerati (ed eventualmente convertiti) i relativi strumenti e riemessi nuovi titoli con un diverso valore. Qualora le risorse non siano sufficienti, è disposto un prelievo forzoso sui conti correnti superiori a centomila euro, senza alcun indennizzo. La differenziazione tra investitori e correntisti può essere sindacata sotto il profilo della ragionevolezza e della parità di trattamento, anche considerando che il correntista, a differenza dell’azionista, non partecipa al rischio di impresa.
Le procedure di bail-in si applicano anche a chi ha investito prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, senza contezza dei possibili rischi. Simile disciplina retroattiva non è di per sé incostituzionale, ma deve essere valutata secondo il rigoroso scrutinio della ragionevolezza. E la questione è aperta, come ha anche notato la Banca d’Italia.

Articolo 47 – La Costituzione italiana precisa che la Repubblica “incoraggia e tutela il risparmio”. Tale previsione è funzionale alla realizzazione di altri obiettivi costituzionali, quali, ad esempio, l’accesso alla proprietà privata. La normativa sul bail-in, invece, prevede che i risparmiatori possano essere chiamati a rispondere con i propri risparmi per le situazioni di dissesto della banca. Con l’evidente frustrazione dell’incoraggiamento al risparmio, che deve essere interpretato proprio come investimento del surplus monetario, funzionale allo sviluppo del ciclo economico, e non come mero accumulo di ricchezza.

Articolo 41 – La disciplina del bail-in prevede la possibilità per l’Autorità di risoluzione di intervenire nella disciplina di rapporti fra privati. I penetranti poteri previsti dalla direttiva consentono di modificare in corsa le condizioni contrattuali ed economiche alle quali sono stati sottoscritti i prodotti di investimento e di risparmio. Ciò è compatibile con il principio costituzionale che riconosce (e protegge) la libertà di iniziativa economica privata? Un altro aspetto riguarda la possibilità per l’Autorità di risoluzione di ingerirsi nella vita societaria della banca in crisi, ad esempio chiedendo modifiche nella strategia aziendale, oppure convocando l’assemblea degli azionisti o revocando un consigliere di amministrazione. Anche sotto questo profilo si pone un problema di compatibilità con il principio di tutela dell’autonomia privata, parimenti riconducibile all’articolo 41 Costituzione.

Articolo 42 – La Costituzione è chiara nell’affermare che la proprietà privata può essere espropriata solo per ragioni di interesse generale e a fronte di un indennizzo. Come si concilia questa previsione con la possibilità di un sostanziale esproprio dei depositi dei correntisti (sopra i 100mila euro), senza alcuna forma di indennizzo?

Articolo 24 – La nuova disciplina attribuisce ampi poteri all’Autorità di risoluzione delle crisi bancarie (da noi la Banca d’Italia) senza, tuttavia, prevedere un completo sistema di contrappesi e di garanzie. In particolare rileva l’assenza di strumenti di controllo democratico ex ante (e ciò incide sul rispetto dell’articolo 1 della Costituzione) e la limitazione degli strumenti di difesa ex-post. Viene, infatti, previsto dalla direttiva che “la decisione dell’Autorità di risoluzione è immediatamente esecutiva e determina la presunzione relativa che una sospensione della sua esecuzione sarebbe contraria all’interesse pubblico”.

Ruolo del Parlamento e della Corte costituzionale

Come già avvenuto in Austria, dunque, non è da escludersi che il bail-in possa trovare ostacoli anche nel nostro ordinamento. Il contrasto con i principi costituzionali sopra individuati, infatti, appare evidente (come ha anche notato Emanuele Pedilarco qui). E, fra tutte, la previsione meno difendibile è quella che applica le nuove regole anche ai rapporti sorti prima di esse. Eppure il nostro legislatore ha pedissequamente trasposto la direttiva ed è stretto tra l’incudine e il martello: o mantiene il testo attuale, in linea con la direttiva, ma in contrasto con la Costituzione. Oppure, per far prevalere la Costituzione (secondo la cosiddetta teoria dei controlimiti), rigetta la normativa europea: scelta difficilmente percorribile nell’attuale contesto. Un buon motivo perché il Parlamento lasci – pilatescamente – l’ultima parola alla Corte costituzionale.

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