Via libera al Senato all’emendamento che modifica l’articolo 1 del reato di tortura e che prevede che per commetterlo saranno necessarie “violenze o minacce gravi” e non “reiterate violenze o minacce gravi”. La proposta di modifica M5s – identica a quella di Si-Sel e a quella del Pd – la scorsa settimana aveva suscitato le proteste del centrodestra in Aula al Senato, ma alla fine Palazzo Madama l’ha approvata con 158 voti a favore, 51 contrari, 3 astenuti alla vigilia del 15esimo anniversario dal G8. Ma a insorgere è di nuovo il centrodestra, convinto che l’emendamento sia una “micidiale arma contro le forze dell’ordine”, come ha dichiarato Carlo Giovanardi, al quale si affianca il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (Forza Italia) secondo cui “la vendetta dei sessantottini si è abbattuta inesorabile su chi difende la nostra sicurezza”. Contrari anche i sindacati di polizia Siap e Anfp perché, spiegano, in questo modo si espongono le forze di polizia “a denunce strumentali da parte di criminali di ogni specie”.

Giovanardi durante la discussione in Aula ha sottolineato come la “martellante campagna di disinformazione” che è stata fatta “confonde eventuali reati colposi, dovuti a negligenza o imprudenza, con un reato doloso i cui confini sono stati lasciati artatamente ambigui”. E ha attaccato l’asse che ha proposto e approvato la modifica: “La strana maggioranza ha dimostrato invece oggi di avere una gerarchia dei valori che mette al primo posto la tutela degli aggressori e non quella degli aggrediti“.

Insoddisfatti del provvedimento anche i sindacati di polizia, che evidenziano in particolare l’assenza del “requisito dell’intenzionalità del dolo”. Un elemento, spiegano Siap e Anfp, che pure è previsto dalla Convenzione Anti Tortura, il quale avrebbe reso più rigoroso l’accertamento sull’elemento psicologico. La fattispecie del reato di tortura – dicono i rispettivi segretari Giuseppe Tiani e Lorena La Spian – dovrebbe essere concepita sin dall’inizio con la chiarezza necessaria ad evitare ogni ambiguità a livello interpretativo e scevra di qualsiasi forma di pericolosa e discutibile ideologizzazione che guarda con sospetto l’operato delle forze dell’ordine”. E anche Silp Cgil ritiene “opportuno richiedere al Parlamento che la norma faccia espresso riferimento al ‘dolo specifico’ e che punisca solo chi cagiona ‘intenzionalmente’ le sofferenze fisiche o il trauma psichico. Data la severità delle pene – aggiunge – è ragionevole pretendere che la volontà dell’agente investa a pieno l’evento verificatosi in conseguenza della sua condotta. Su questo, senza demagogia ma con molta concretezza, faremo la nostra battaglia in difesa dei poliziotti”.

Soddisfatto invece dell’approvazione della modifica è il capogruppo del Pd, Luigi Zanda. “Queste ‘reiterate’ prima sono comparse e poi scomparse, proprio mentre la commissione era presieduta da Nitto Palma. Ora sono state reintrodotte di nuovo”, ma rendendo di fatto la norma che punisce la tortura ‘inapplicabile'”, ha detto. “Nelle leggi le parole devono essere misurate” sottolinea Zanda che ricorda come nel delineare la fattispecie della tortura “non stiamo parlando dell’uso legittimo della forza da parte delle forze dell’ordine, ma della tortura“, cioè di un abuso. Zanda invita quindi a votare, visto anche che l’Italia è in ritardo di circa 20 anni nel recepimento della Convenzione di New York del 1984, e che solo la commissione Giustizia del Senato ha esaminato la formulazione del reato di tortura “per almeno due anni senza contare quanto se ne sia discusso nelle precedenti legislature“. E spera che non si debba ricorrere al contingentamento dei tempi perché non è uno “strumento” che lui “ama”, ma lo “preferisce di certo all’ostruzionismo“.

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