Nessuno verrà rispedito a casa, almeno per il momento. Per ora nulla è cambiato. Ed è probabile che in futuro le modifiche siano veramente ininfluenti sul futuro dei milioni (almeno 3,5) di cittadini europei che vivono nel Regno Unito. Il ministero dell’Interno e quello degli Esteri di sua maestà hanno voluto rassicurare chi ha deciso di vivere al di qua della Manica con un comunicato pubblicato nella serata di lunedì 11 luglio su un sito Internet governativo. “Non c’è stato alcun cambiamento nei diritti e nello status dei cittadini europei nel Regno Unito, e dei cittadini britannici in Europa, in seguito al referendum”, specifica a chiare lettere la nota. Anche perché “la decisione di dare il via all’articolo 50 (del Trattato di Lisbona, ndr) e di avviare il processo formale per lasciare l’Ue sarà nelle mani del nuovo primo ministro. Il Regno Unito resta un membro dell’Ue durante questo processo e fino a quando le negoziazioni dell’articolo 50 non siano concluse”. Sarà quindi compito della nuova premier, Theresa May, avviare il divorzio da Bruxelles.

Poi, appunto, la rassicurazione più importante: “Quando lasceremo l’Ue, ci aspetteremo che lo status legale degli europei che vivono nel Regno Unito, e quello dei britannici che vivono in altri paesi dell’Ue, siano propriamente protetti”. Con una prima indicazione che ha il chiaro obiettivo di fermare il catastrofismo di molti europei, italiani inclusi, che vivono nel Regno Unito e che nelle ultime settimane si sono affrettati a chiedere costosi e difficoltosi ‘permessi di residenza’, per i quali bisogna pagare una tassa, compilare decine di pagine di moduli e spesso affidarsi alle grazie (dietro pagamento) degli studi legali che lavorano con l’immigrazione. “I cittadini europei che hanno vissuto in modo continuo e legale nel Regno Unito per almeno cinque anni – spiega infatti il comunicato – hanno un diritto permanente di residenza. Questo significa che hanno il diritto di vivere nel Regno Unito in modo permanente, secondo le leggi europee. Non c’è alcun bisogno di registrarsi e ottenere della documentazione per confermare questa condizione”. Inoltre, chi ha vissuto nel Regno Unito per almeno sei anni, può chiedere la cittadinanza, pagare una tassa (superiore alle mille sterline) e sostenere l’esame per diventare britannico a tutti gli effetti. Come è sempre stato.

Ma il comunicato cerca di rassicurare anche coloro, e sono tanti, che vivono nel paese da meno di cinque anni. Per ora, spiegano i due ministeri, “hanno il diritto di restare nel Regno Unito così come da leggi europee”. Senza il bisogno di “registrarsi per la documentazione per godere dei propri diritti legati alla libertà di movimento (all’interno dell’Ue, ndr)”. E chi, non europeo, è sposato con un comunitario, dovrà continuare a richiedere i permessi di residenza di famiglia. “Nulla è cambiato nelle procedure, le richieste continueranno a essere trattate allo stesso modo”, aggiunge il comunicato. Infine, contro il catastrofismo, anche un’altra indicazione: il Regno Unito non ha intenzione di ‘deportare’ i cittadini comunitari. Una sottolineatura che può sembrare banale ma che, in questi giorni del dopo referendum, serve a rasserenare gli animi spesso un po’ troppo agitati.

“Non c’è stato alcun cambiamento nel diritto degli europei di risiedere nel Regno Unito e quindi nessun cambiamento nelle circostanze nelle quali qualcuno può essere deportato dal Regno Unito. Così come succedeva prima del referendum – conclude la nota – i cittadini europei possono essere rispediti nei paesi di origine soltanto se rappresentano una minaccia genuina, attuale e sufficientemente seria per altre persone, se non sono residenti in modo legale o se stanno abusando dei loro diritti legati alla libertà di movimento”.

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