Ha parlato ai giudici prima della camera di consiglio Massimo Giuseppe Bossetti, imputato per la morte di Yara. Per dire che con l’omicidio della tredicenne non c’entra nulla. Tra questa disperata autodifesa e la camera di consiglio dei giudici della corte d’Assise di Bergamo c’è la storia di una ragazzina che portava l’apparecchio ai denti, amava la ginnastica e che non è più tornata a casa.

È il 26 novembre del 2010 quando la ragazzina esce dalla palestra di Brembate di Sopra (Bergamo) per ritornare a casa. Poche centinaia di metri che la ginnasta non percorre. La ragazzina viene cercata in lungo e largo da tutte le forze dell’ordine, da volontari, amici, parenti e anche sconosciuti. Invano.

Solo tre mesi dopo il cadavere viene ritrovato in un campo a Chignolo d’Isola, una decina di chilometri da Brembate. Yara, stabilirà l’autopsia, è morta di freddo dopo essere stata ferita con alcune coltellate la notte stessa della scomparsa. Inizia la caccia al killer della ragazzina. Uscito di scena il marocchino Mohamed Fikri, operaio fermato a bordo di una nave diretta a Tangeri dopo una controversa intercettazione ambientale, gli inquirenti si concentrano sul luogo del ritrovamento, sui risultati dell’autopsia, sugli esami scientifici e a identificare il Dna dell’assassino. Gli uomini del Ris trovano quelle tracce all’interno degli slip e sui leggins della vittima: il materiale genetico isolato verrà battezzato “Ignoto 1”.  È il 15 giugno 2011 quando inizia la marcia a tappe forzate degli investigatori impegnati a dare volto e corpo alla traccia biologico. Migliaia i test del Dna a cui sono stati sottoposti altrettante persone.

Il 18 settembre 2012 nasce ufficialmente la pista di Gorno. È estratto da una marca da bollo su una vecchia patente il Dna di Giuseppe Guerinoni, di Gorno sposato e padre di due figli, morto nel 1999, simile a quello trovato sul corpo di Yara. Comparato con il suo nucleo famigliare, non porta ad alcun risultato; da qui l’ipotesi che esista un suo figlio illegittimo.

Il 16 giugno 2014 viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, all’epoca 43 anni, muratore di Mapello, sposato e padre di tre figli. Due giorni prima gli era stato prelevato il Dna con il trucco di un falso controllo dell’etilometro. Il suo Dna coincide con quello di Ignoto 1. A lui gli investigatori arrivano attraverso la madre, Ester Arzuffi, che, secondo l’accusa, aveva avuto una relazione con Guerinoni. Bossetti, che da sempre si dichiara innocente, è rinviato a giudizio il 27 aprile del 2015 per omicidio ma anche di calunnia ai danni di un suo collega di lavoro verso il quale avrebbe cercato di indirizzare le indagini. Il processo inizia il 3 luglio del 2015 e si concluderà il 1 luglio con la sentenza. Il pm Letizia Ruggeri ha l’ergastolo e sei mesi di isolamento diurno, le parti civili che chiedono un risarcimento pari a tre milioni e 249 mila 230 euro. La difesa ha invocato l’assoluzione.

Contro l’imputato non c’è solo il Dna, ma i tabulati telefonici, le immagini dell’autocarro ripreso dalle telecamere di sorveglianza della zona, le fibre sul cadavere compatibili con quelle dei sedili del Fiat Daily del muratore. Gli avvocati mettono in dubbio tutto parlando di un “processo in cui sono di più le anomalie dei marcatori” del Dna e che “non ha fugato i dubbi, anzi, li ha alimentati”.

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Yara Gambirasio, dalla scomparsa alla sentenza Bossetti: una storia lunga 6 anni

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