Sono passati esattamente 40 anni da quel lunedì di giugno quando a Latina arrivarono avvocati e imputati da Roma per celebrare il processo del delitto del Circeo. Un delitto mai dimenticato, che vide una città fino ad allora poco conosciuta, diventare protagonista nazionale solo perché l’efferatezza contro due giovani donne romane avvenne nell’allora trendy e ricercato Circeo (zona “Punta Rossa”, nel comune di San Felice Circeo in via della Vasca Moresca a 100 chilometri a sud di Roma e a 40 da Latina, ndr).

Una casa di vacanza affacciata sulla scogliera mozzafiato di quella montagna che si eleva dall’acqua e che secondo quello che si racconta, ricorda il profilo della Maga Circe, divenne improvvisamente la tomba per Rosaria Lopez e solo per una fortunata coincidenza non per Donatella Colasanti. Questo processo, insieme a quello “ per stupro”, rilanciato anche dalla Rai e accaduto solo qualche anno dopo, cambiò in questa mia città l’animo delle donne, che corsero in tribunale tutti i giorni a far sentire la propria presenza alle vittime di uomini assassini e senza scrupoli. La circostanza è stata ricordata dal Centro Donna Lilith, nato proprio in quegli anni, sull’onda di uno sdegno comune, con una conferenza stampa e uno striscione appeso all’esterno del Centro per ricordare non solo Rosaria, ma tutte le donne morte in questi anni di femminicidio. Una parola all’epoca sconosciuta, oggi però molto usata ogni volta che una donna muore sotto i colpi di un partner violento che brutalmente mette fine a un rapporto logorato e deteriorato per non lasciare scampo alla donna che vorrebbe riacquistare la propria libertà.

Lo striscione ideato dalla illustratrice e vignettista Stefania Spanò, in arte Anarkikka è stato appeso sul balcone dell’Associazione e vi rimarrà per l’intero mese di luglio.

Con questa iniziativa, che rientra tra l’altro nell’ambito per il trentennale dell’Associazione, il Centro Donna Lilith, intende, avviare un percorso che promuova in generale una rappresentazione rispettosa dell’identità di genere e di valorizzazione delle differenze. E sollecitare soprattutto chi, si occupa di descrivere questi fatti violenti, di adottare una maniera nuova di raccontare la violenza sulle donne e il femminicidio, che superando l’ottica emergenziale o “passionale”, ne sappia cogliere l’aspetto strutturale.

Non a caso il 20 giugno scorso in Regione Lazio è stato firmato un protocollo d’intesa “Donne e Media” con il mondo della comunicazione e dell’università e dal Corecom Lazio proprio per demolire il pregiudizio di genere e l’immagine stereotipata delle donne nel mondo dell’informazione.

Va detto infatti che la comunicazione ha un ruolo essenziale per come scegliere di raccontare la violenza, cogliendone la dimensione strutturale e la radice culturale, per la rappresentazione della figura femminile che decide di offrire e per come affronta il problema della cultura maschile che la produce.

Teorie e fatti, dunque, per le donne Lilith. E i fatti parlano chiaro:

Il Centro di accoglienza per donne in temporanea difficoltà, avviata nel Febbraio del 1991.

La Casa Rifugio “Emily”, struttura residenziale per donne che non vogliono più subire violenza, e che può ospitare fino a 8 donne con figli, che opera in stretto rapporto con l’attività di accoglienza. Le case di proseguimento, strutture “cerniera” che accolgono donne che, una volta terminato il percorso in casa rifugio, possono vivere per un semestre in semi-autonomia, cioè gestire autonomamente un alloggio, nel rispetto delle regole stabilite.

E altro ancora.

In trent’anni dunque, come dicono e rimarcano loro, festeggiando quest’anno l’anniversario di nascita, bisogna dare loro atto che sì, è vero … “ hanno fatto Centro”.

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