Come ho già scritto in diversi post, continuo a pensare che la fine del califfato è solo questione di tempo.

Falluja – la prima città a cadere sotto il controllo dei militanti dello Stato islamico nel gennaio del 2014 – è stata di recente del tutto liberata dall’Isis ed è nuovamente nelle mani irachene, e a ciò si devono aggiungere le perdite di Tikrit, sul fiume Tigri, e Ramadi, sulle sponde dell’Eufrate, e ben presto ci sarà lo scontro per la conquista di Mosul, la capitale del califfato, e infine vi sarà la conquista di Raqqa in cui le truppe curde e l’esercito regolare daranno l’ultima spallata al sedicente stato islamico di Siria e Iraq.

In questa situazione, si può immaginare quanto possa essere grande il desiderio di Obama nel vedere questa sconfitta prima che il suo secondo mandato sia concluso. D’altra parte queste vittorie militari non sarebbero state possibili senza il massiccio intervento americano. Indubbiamente abbiamo assistito a una accelerazione in questi ultimi tempi dell’impegno statunitense e ci si può chiedere se questo derivi effettivamente dal desiderio di Obama di chiudere la partita oppure da un cambio di strategia proprio in previsione del cambio presidenziale.

Probabilmente l’una e l’altra spiegazione sono entrambe plausibili e possono convivere.

Non bisogna peraltro sottovalutare il malumore che la politica attendista di Obama verso il presidente Assad ha creato in alcuni ambienti diplomatici americani. Il presidente americano non ha fatto mistero della sua ritrosia nell’intervenire militarmente in Siria, convinto che questa scelta avrebbe causato più problemi che vantaggi e che la via diplomatica fosse quella via giusta da seguire.

Da quanto si apprende attraverso la stampa americana (The Wall Street Journal del 20 giugno), circa una cinquantina di diplomatici hanno redatto un documento in cui contestano le posizioni del presidente, sottolineano la brutalità del regime di Assad e spiegano la ritrosia di accettare un tavolo di discussione perché non si sono sentiti mai veramente minacciati. L’appoggio offerto poi dalla Russia e dall’Iran, ha portato Assad a violare sistematicamente il cessate il fuoco, e a compiere violenze inaudite contro il suo stesso popolo. I diplomatici chiedono una intensificazione degli interventi militari allo scopo di costringere Assad a trattare seriamente per una tregua duratura e allo stesso tempo sconfiggere l’Isis. Certo a sette mesi dalla fine del suo mandato, Obama potrà intervenire con politiche di aggiustamento, ma sarà il nuovo presidente che deciderà le strategie e il ruolo dell’America nell’area mediorientale.

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