L’idea ci ha subito entusiasmato. Perché pensavamo che fosse l’occasione giusta per fare qualcosa per questo Paese e, contemporaneamente, per trovare nuovi canali di finanziamento per la nostra informazione. Segnalare ai nostri lettori gli artigiani, gli agricoltori, gli allevatori e i piccoli produttori locali di cibo di alta qualità, permettendo loro di uscire dai confini provinciali e regionali, ci è sembrata la via buona per far crescere un po’ il nostro made in Italy e per promuovere tradizioni e capacità di cui tutti dovremmo essere orgogliosi.

Per questo la nostra società editoriale ha deciso di entrare in Foodscovery, una piattaforma di e-commerce nata da un’idea di due giovani imprenditori pugliesi, e di raccontare, in una nuova sezione ospitata da ilfattoquotidiano.it, le storie dei Foodheroes, i nostri eroi del cibo. Foto e filmati di italiani normali che fanno cose dal sapore eccezionale. Io, non lo nascondo, sono stato uno dei grandi sponsor dell’iniziativa decisa dal nostro amministratore delegato Cinzia Monteverdi. Da tempo penso che un giornale on line grande come il nostro debba fornire a chi lo segue anche la possibilità di fruire di servizi diversi. Nei paesi anglosassoni, dove l’informazione digitale e l’e-commerce sono molto più diffusi che da noi, tutto questo accade da anni. Per me è ora che succeda anche qui.

La mia preoccupazione, come direttore di questa testata, è però sempre stata quella che venissero proposti solo prodotti eccellenti, che rispettassero precisi standard etici e qualitativi. Per questo ho passato molti giorni a fianco dei nostri nuovi soci di Foodscovery e mi sono convinto che il loro modello possa essere vincente. I piccoli produttori e artigiani che, direttamente dalle loro malghe, cantine, pasticcerie, laboratori o fattorie, inviano i prodotti a casa dei clienti non sono selezionati a caso. Vengono privilegiate le produzioni artigianali, legate al territorio, in genere piccolissime e per questo ignorate dalla distribuzione nazionale. Spesso a selezionare le merci ci pensano gli ambasciatori del gusto: cioè cuochi stellati, grandi firme del giornalismo dedicato al cibo, sommelier di chiara fama che collaborano con Foodscovery.

In questo modo si ottengono due risultati. Si permette a chi ha produzioni necessariamente limitate di allargare la sua platea di clienti (una rinomata pasticceria di un paesino del centro o sud Italia potrà, per esempio, vendere anche a centinaia di chilometri di distanza). E si dà a noi consumatori la possibilità di gustare prodotti che in nessun caso arriverebbero sulle nostre tavole. Inoltre chi acquista sa che in qualche modo contribuisce a finanziare la nostra informazione. Il tutto in modo dichiarato e trasparente.

Anche per questo è, secondo me, importante seguire le storie dei Foodheroes, per conoscere chi produce e scoprire come materialmente lo fa. A mio parere questo è un modo appropriato per far sì che la rivoluzione digitale in atto non intacchi i posti di lavoro, ma che anzi finisca per moltiplicarli. Mettere direttamente in contatto il produttore locale con il consumatore vuol dire sottrarsi al sistema della grande distribuzione. Significa permettere di far guadagnare il giusto a chi lavora e dare ai cittadini la possibilità di scegliere tra prodotti e sapori diversi. Insomma quella che da oggi proviamo a battere è strada nuova. A chi ci legge chiediamo, se lo ritiene, di sperimentarla con noi.

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