Roma. Trastevere. Un poeta sghembo si trascina addosso la poesia come un cencio, vede sirene sugli scogli, sotto una luna masticata dalla notte lancia esche d’amore: poesie. La poesia è amore perché è dono di verità in cambio di qualche spicciolo; nel frastuono del chiacchiericcio, Nicolino tira fuori pepite sanguigne, lancia le sue perle, ma non ai porci, le lancia alla gioventù, e alla bellezza che fugge. Negli occhi di Nicolino ci sono fantasmi, ombre, dissolvenze incrociate con un presente che vive di vita propria, che scorre e trasforma ogni cosa, un presente che è continua erosione di se stesso in un gioco al massacro con il vuoto e l’esile respiro dell’uomo.

Nicolino non ha paura, non si arrende, ha ancora una verità, anche se è una verità stanca, malconcia, fuori posto, ma il suo vagare nella notte trasteverina è testimonianza, martirio della parola che sanguina fra i sorrisi, e racchiude dolenti ironie, e sacri supplizi, in un calvario orizzontale, denso di evanescenze, ma è un calvario senza croci, perché in fondo, per Nicolino, la poesia è un bellissimo abbraccio.

(Il film, per motivi di diritti musicali, non si può vedere in Germania e sui dispositivi mobili)

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