La Gran Bretagna è un paese diviso. E non è solo una questione di sondaggi, di in o out. Di dentro o fuori. La divisione è molto più profonda e qualunque semplificazione risulta inefficace. come quella che riduce tutto a europeisti contro antieuropeisti. È una questione di sguardi, di opposte speranze, di contrasti sociali, di passato e di futuro, di centro e periferie. Nella capitale britannica la sensazione è che la data del 23 giugno rimarrà a lungo impressa nell’immaginario collettivo di questo paese e della sua gente.

“Comunque vadano le cose da domani non saremo più gli stessi”. A dirlo, tra i banchi del mercato di Romford, è un militante dell’Ukip, il partito indipendentista capitanato da Nigel Farage che da tempo batte sul chiodo dell’uscita dall’Ue, che ha chiuso la campagna referendaria esortando i suoi a partecipare a quello che “sarà il nostro indipendence day”. Un giorno dell’indipendenza promosso lontano dal centro cittadino, nelle periferie, tra gli strati più poveri della popolazione.

“Qui non si tratta di una decisione che riguarderà i prossimi 4 o 5 anni, qui c’è in gioco il vostro destino” è invece stato l’accorato appello di Ed Miliband, l’ex leader laburista uscito sconfitto dalle scorse elezioni politiche (vinte poi da David Cameron). Il discorso lo ha pronunciato martedì sera in Trafalgar Square davanti ad una platea composta in larga maggioranza da giovani, pronti a manifestare tutta la loro voglia di Europa e a contestare i “toni razzisti della campagna Leave”, incentrata in larga parte sul tema dell’immigrazione.

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