Sono passati soltanto due giorni dal terremoto elettorale di domenica e già sta partendo la manovra per sterilizzarne il messaggio, affogandolo nel solito gorgo di doppiezze studiate ad arte. La ricerca dell’ennesimo sortilegio a mezzo abrakadabra comunicazionali per salvarsi la ghirba. Ossia la tecnica di depistare indicando un falso bersaglio.

Dice Matteo Renzi, alla disperata ricerca del tocco magico perduto: «ha vinto la domanda di cambiamento». Se ne dedurrebbe che l’esito negativo incassato dal premier/segretario dipenda esclusivamente dal non aver praticato in misura adeguata il promesso rinnovamento. Dunque, la sottintesa affermazione che l’elettorato avrebbe punito Renzi per non essere stato abbastanza Renzi. Al di là dei richiami di prammatica all’umiltà e all’ascolto, un modo indiretto per ribadire il tratto fondamentale di questo soggetto: la tracotanza. Che non funziona più neppure in un uditorio tendenzialmente servile, quale quello italiano, a fronte della ormai manifesta inadeguatezza che ne accompagna l’io-mania.

Funzionerà l’uso mistificatorio delle parole per consentire di rimettere in piedi il regno del falso costruito in questo biennio dall’imbonitore venuto da Rignano?

Questo perché – fine a se stesso – “cambiamento” (come il suo fratello germano “rinnovamento”) non significa null’altro che un esercizio ginnico/logistico: spostare arredi, merci e persone. Certo, anche pratiche. Ma senza indicare il senso di tale spostamento. Per cui il tutto può benissimo ridursi a gestualità e confezionamenti vari. Oppure – come ormai abbiamo capito benissimo – paraventi dietro i quali celare spregiudicate quanto inconfessabili operazioni di potere.

Manovra di depistaggio per occultare il dato vero emerso dalle urne il 19 giugno: la maggioranza del Paese si ribella all’occupazione delle istituzioni da parte di una corporazione del potere che ha come unico obiettivo il restare in sella. Il motivo per cui questo establishment trasversale (da Giorgio Napolitano a Silvio Berlusconi) aveva aperto un credito al giovanotto che prometteva di impastoiare nel chiacchiericcio l’indignazione intercettata dai Cinquestelle e mantenere la presa sulla società da parte delle politica politicante.

Le elezioni amministrative ci dicono che la gente si è stufata e Renzi cerca di salvarsi rinnovando la propria narrazione. Sperando di riuscire nell’ennesima incantamento, a tutela del regime relazionale che ci tiene in ostaggio; come riuscì venti anni fa quando le inchieste della magistratura avevano inferto colpi durissimi al sistema affaristico-collusivo della tarda Prima Repubblica.

La tecnica allora fu quella di spostare il focus dalla “questione morale” alla “questione istituzionale”; spiegando che il nodo non era la qualità dei principi/comportamenti della classe dirigente, bensì le regole di funzionamento in ambito elettorale. Per cui il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario sarebbe stato il sufficiente lavacro per le macroscopiche magagne evidenziate dalle inchieste delle Procure.

Appunto, riuscirà il nuovo depistaggio? È da vedere. Perché le menti che crearono le scialuppe di salvataggio per il trasbordo nella Seconda Repubblica erano francamente molto più attrezzate degli improvvisati Gigli magici. Soprattutto la sapevano raccontare meglio. E mai avrebbero collezionato evidenze a proprio carico di un totale disprezzo delle regole come la ministra ricattatrice riciclata in telefonista.

Anche se consideri la cosa pubblica “Cosa Tua”, è più intelligente non darlo a vedere. Altrimenti si capisce subito che il cambiamento è solo un cambio di maschera.

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