Ieri sera abbiamo ritrovato il gusto di seguire con attenzione i due talk show (Ballarò al 5,2%, Dimartedì al 6,9%) di politica (e anche di arti varie, che per l’auditel funzionano, ma delle quali, a dire il vero, del tutto ci infischiamo). E il gusto, come accade quando la tv non suscita, ma gode di attenzione, era dentro di noi piuttosto che sullo schermo. Né finirà con ieri sera, perché la carne che si sta mettendo sul fuoco dei risultati elettorali di Roma, Torino, Milano è davvero tanta. C’è lo spettacolo di due crisi: quella conclamata, che riguarda la cosa chiamata Pd e l’altra, per ora solo potenziale, innescata dall’obbligo di M5s di passare dalla politica del vaffa a quella del fare (con buche, rifiuti, taxi e autobus non si scherza).

Riguardo al Partito democratico siamo da tempo convinti che l'”idea Pd” soffra di non essere un’idea, ma il camposanto di vecchie idee ben radicate a suo tempo nel Paese, ma alle quali non è riuscito il salto nell’attuale futuro: 1) quella comunista, per l’ormai pluridecennale venir meno dei referenti sociali su cui galleggiava. Sicché è affondata, ma non senza lasciare a sguazzare nella rendita delle istituzioni i faccendieri del consenso che una volta erano subordinati al “brand” e da tempo, invece, ci stanno aggrappati (Napoli ha costituito la dimostrazione assoluta di questa tesi); 2) quella cattolico democratica concorrenziale verso la prima, ma non meno, rinsecchita sui rami del vario sfaccendare chiamato “organizzazione del consenso”, “radici nel territorio” e via arruolando singoli individui, ma non più pezzi di società. Renzi e il leopoldismo negano entrambe quelle “radici” e rappresentano una effettiva ipotesi e una concreta spinta (per quanto ci è dato di constatare nelle faccende -l’industria creativa – che seguiamo per dovere professionale) allo sblocco delle istituzioni e della società. Forse – sarà merito degli scout – una imprevista traccia di linfa sotto la corteccia delle vecchie idee. Ma è chiaro che lì c’è il morto in casa. E perché non trascini con sé il vivo serve il lanciafiamme sì, ma delle idee.

Quanto al M5s li associamo mentalmente a un forte potenziale di crisi, perché hanno catalizzato, ma non sintetizzato, ogni tipo di opposizione (a Renzi, alla Ue, alla crisi, alle vecchie facce, ai vecchi problemi, alle nuove soluzioni). Ci hanno puntato, tanto che per acchiapparne ogni stilla hanno perfino votato contro la legge sulle Unioni civili. Ma i cartelli di opposizione sono vasti quanto fragili, si sa. E questo è il primo potenziale detonatore di crisi. Il secondo, che si coglie palpabilmente a Roma, e la speranza che bonifichino la macchina comunale, a partire dall’andazzo della concussione (molecolare, a sentire i racconti di chi a quegli Uffici deve rivolgersi. Alla prima bustarella video-registrata qualcuno comincerà a dire “siamo alle solite”. Ed è su questo campo – più che sull’essere coerenti con i “No” detti in fase elettorale (Olimpiadi, Stadio, Metro e quant’altro) che si giocheranno la faccia, che per loro è davvero tutto. A lato, quieta nella sua frammentazione di soggetti, ma costante nel proprio stabile nocciolo culturale, c’è la Destra, più o meno flemmatica o esagitata. Se il Pd dovesse affondare in se stesso e gli M5s nella loro propaganda, scatterebbe il suo turno. Ecco perché ri-diventano interessanti perfino i talk show.

Articolo Precedente

Programmi vietati ai minori, le indignazioni del Moige finiscono in un libro: “Un anno di Zapping”

next
Articolo Successivo

Brexit, con la vittoria del ‘Leave’ inizia la corsa al ‘fai da te’ (Rai e governo si muovano)

next