L’odio come l’amore hanno la caratteristica di sorprenderci. Questo per due ragioni: sorprendono perché vengono da una zona profonda, inaccessibile alla coscienza e al tempo stesso perché la scelta della direzione che prenderà il nostro sentimento è apparentemente casuale ma in realtà caratterizzata da chirurgica precisione inconscia. Per questo c’è sempre da diffidare di chi sperimenta eccessivi sentimenti di odio verso categorie predefinite. Ieri l’avvocato Taormina, tempestivo sulla notizia dei fatti di Orlando, ha sottolineato che l’attentato c’è stato “perché due gay si baciavano“. La causa individuata da Taormina per il massacro di Orlando non è quindi la follia, il fondamentalismo o altro. La sua attenzione, in questo polarizzata, magnetizzata analogamente all’omicida, su quel bacio gay. Taormina presenta l’odio dell’omicida così, in qualche modo come un dato di fatto, quindi valido e incontrovertibile, per certi versi universale, di fronte alla percezione plastica della diversità.

L’odio individuale non riesce tuttavia a essere inquietante quanto l’odio collettivo, l’addestramento alla paura, la seduzione della violenza che diviene progetto politico. La presentazione della seconda mappa dell’intolleranza, interessante studio nazionale sui discorsi d’odio veicolati dai social network, ci presenta la situazione dell’Italia che odia. In Italia si odiano soprattutto donne, omosessuali, ebrei e musulmani. E l’intolleranza collettiva si concentra soprattutto presso le grandi città, centri nevralgici della politica e del potere politico. L’odio nei confronti del diverso è ormai oggetto di comunicazione politica, strumento di competizione elettorale sul consenso pubblico. I suoi obiettivi preferiti sono l’immigrato e l’omosessuale: una forma, per così dire, di omofobia politica premeditata e costruita a tavolino.

Stefano Parisi, candidato sindaco di Milano, ha incassato con eleganza l’endorsement di Gandolfini, profeta della cosiddetta “ideologia gender”, che ha ricambiato sostenendo l’esigenza di tutelare la famiglia tradizionale dalle gravi privazioni che le sono state imposte a Milano a favore dei “diversi”. L’ideologia gender sarebbe diffusa a scuola, luogo deputato a una forma di indottrinamento in cui verrebbero negate le differenze sessuali e i bambini sarebbero “istigati all’omosessualità, invitati alla masturbazione precoce fin dalla culla, potrebbero essere obbligati ad assistere a proiezioni di filmati pornografici…”.

Tutto questo avverrebbe grazie al beneplacito del decreto renziano sulla buona scuola e a connivenze internazionali che includono in un grande complotto perfino l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’idea è sufficientemente inverosimile. Eppure. La diffusione collettiva dell’odio punta a trasformare un altro, una minoranza in estraneo, diverso, qualcuno di cui avere paura. Così, la sottile insinuazione di un sospetto si trasforma lentamente nella convinzione di una forma di aggressione ai propri valori, che diventerà in breve una vera e propria persecuzione, in grado di mettere in pericolo ciò che abbiamo di più fragile e indifeso: i bambini. La paranoia è la forma che assume l’odio quando si vuole renderlo epidemico.

La discriminazione intollerante nei confronti dell’omosessuale può così prendere la forma immaginaria di un attacco in corso alla famiglia tradizionale, quella verso il migrante si trasforma facilmente in paura della criminalità: tutti buoni strumenti, odio e paura immediatamente spendibili nelle campagne elettorali. È notizia di pochi giorni fa l’approvazione, da parte della Regione Lombardia, dello sportello per denunciare le scuole che adottano l’educazione “gender”. Invitare i cittadini tutti alla delazione di un pericolo che non esiste è un meraviglioso nutrimento per la paranoia. Se c’è uno sportello, vuole dire che esiste il problema. Quindi non chiamerà nessuno? Al contrario!

Chiameranno proprio coloro che sono già caduti nella rete dell’idea di una persecuzione in corso, quelli che temono il complotto di una lobby gay internazionale il cui scopo ultimo sarebbe l’estinzione dell’umanità, raggiunto grazie alla diffusione di pratiche sessuali che non generano prole. Roba da film di fantascienza? C’è chi la pensa diversamente. Alcuni interpreteranno come attacco dell’ideologia gender qualunque parola detta da un maestro omosessuale o qualunque intervento di educazione sessuale rivolto ad adolescenti. Ma non solo. Chiamerà anche una seconda categoria, quelli che avranno effettivamente intercettato quelle puntuali anomalie di ogni genere che si annidano in qualcuna delle 40.000 scuole italiane, a cui attribuiranno la definizione di gender, mentre semplicemente si trovano di fronte a un docente in burnout o forse perfino all’intonaco che si stacca dei muri degli edifici scolastici. Sabotaggio del gender.

Eppure, e sarebbe da dire a Stefano Parisi oggi che lo scopriamo amico di Gandolfini e difensore della famiglia tradizionale: non esiste alcun attacco. La famiglia tradizionale ha sempre goduto di tutti i diritti. Case popolari, reversibilità delle pensioni, assistenza al coniuge malato sono oggi, anche in Italia, uguali per tutti, e senza danno per i “tradizionali”. Perfino la concessione del diritto alla genitorialità non si vede in che modo danneggerebbe le famiglie tradizionali. Ma soprattutto, ed è questo un privilegio rispetto al quale non potrà mai esistere uguaglianza, quando un giovanissimo uomo o donna “tradizionale” scopre la direzione del proprio desiderio non deve affrontare paura, né angoscia, né vergogna. Partire da qui permette di ritrovare una dimensione più vera rispetto a un mondo costruito a tavolino per vendere paura.

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