Il 14 dicembre del 2015 Matteo Baraldo è arrivato stremato e con gli occhi pieni di lacrime a Ushuaia, città più a sud del mondo, capoluogo della provincia argentina della Terra del Fuoco. Il suo viaggio, in bici, a piedi e in autostop, era iniziato più di un anno prima, il 5 novembre 2014, quando si è licenziato dopo 10 anni, lasciando il suo lavoro da tecnico informatico con un contratto a tempo indeterminato. “Non ce la facevo più, avevo bisogno di togliermi il muschio che mi stava crescendo addosso e di mettermi in gioco”, racconta il 29enne veronese.

Le dimissioni arrivano il 2 luglio 2014, giorno in cui Matteo comincia a farsi crescere la barba per la prima volta, cosa che prima gli era consentita al massimo per una settimana. “Il lavoro mi piaceva – spiega –. Anche lo stipendio era buono: giravo da mattina a sera con il mio furgone per le riparazioni tecniche e le giornate volavano”. Quello che lo ha convinto, però, era la voglia di “uscire dal sistema, dal cerchio del benessere, che ti fa vivere una vita monotona e diventare schiavo della comodità”.

“Volevo uscire dal sistema, dal cerchio del benessere, che ti fa vivere una vita monotona e diventare schiavo della comodità”

Matteo prenota un volo di sola andata, da Venezia a Lima. L’obiettivo è quello di affrontare un viaggio che lo porterà dall’altra parte del mondo, in Sud America. Da Lima il percorso si snoda attraverso il Perù, l’Ecuador, il Brasile, la Bolivia, la Colombia, il Cile e l’Argentina. A piedi, in autostop, e in bici: Matteo si sposta per il continente con lo zaino in spalla e l’obiettivo di non prendere nessun aereo o mezzo a motore. “Quando ho annunciato la partenza tutti mi hanno caricato e gasato: tutti tranne Carla, mia mamma. Dovrebbero farla santa”, sorride.

I primi sei mesi Matteo li passa in Perù, con un budget di 1.500 euro. Per pagarsi vitto e alloggio il 29enne si impegna nei lavori più disparati: in Colombia, ad esempio, dà da mangiare agli animali in una fattoria. In Bolivia fa il contadino e coltiva il caffè. In Argentina lavora in un ostello, taglia l’erba, ripara le staccionate, fa il muratore. Per dormire spesso utilizza il couchsurfing, un servizio gratuito di scambio di ospitalità. Il viaggio è duro e straordinario. Non mancano i momenti emozionanti: come in Ecuador, quando Matteo conosce una famiglia indigena e condivide con loro momenti di sopravvivenza. O in Bolivia, dove “si ha la percezione di vivere la povertà, quella vera”.

“Quando sono entrato a Ushuaia avevo le lacrime agli occhi. E’ stata un’emozione indelebile”

Nel settembre 2015 Matteo lascia il suo lavoro in un ostello in Argentina e decide di ripartire con un nuovo obiettivo: affrontare la Ruta 40, da Bariloche a Ushuaia, quasi duemila chilometri, fino alla Terra del Fuoco. Dopo aver acquistato una “bici scassatissima, ma preparata nel minimo dei dettagli”, il 16 ottobre del 2015 parte in direzione Patagonia. Il percorso verso sud è stremante: le distanze tra una città e l’altra possono arrivare anche a 300 chilometri, il paesaggio è brullo e il vento della steppa è sferzante. Il 14 dicembre, finalmente, Matteo giunge a Ushuaia. “Sono entrato in città con le lacrime agli occhi; un’emozione indelebile”, ricorda. Matteo trova vitto e alloggio in una comunità montana, dove ricambia aiutando chi ne ha bisogno.

L’esperienza più incredibile, però, arriva pochi giorni dopo, quando Matteo trova un passaggio per l’Antartide. Si parte proprio dal porto di Ushuaia, in compagnia di Giambattista e Valentina, una coppia di italiani in giro per il mondo sul loro catamarano. L’accordo è quello di lavorare a bordo per pagare le spese di vitto e alloggio. “La vista del primo iceberg è stato qualcosa di straordinario. L’unica cosa da fare è stare lì e contemplare”, ricorda Matteo, emozionato. “Ho avuto modo di conoscere un mondo che avevo visto solo in tv, dal divano di casa mia, dove non è l’uomo che detta le regole ma la natura”.

” In Italia si ha paura delle novità, e non si ha il coraggio di affrontare il pregiudizio altrui”

Per il suo viaggio Matteo ha speso complessivamente 9mila euro in quasi due anni. Oggi è tornato in Italia, ad Albaredo d’Adige, un piccolo comune di 5mila abitanti nella pianura padana, dove sta mettendo a punto il suo diario per la pubblicazione di un libro legato ad una raccolta di beneficenza per le famiglie che ha conosciuto in Sud America. Rimpianti? Nessuno. “Se non fossi partito forse oggi avrei un lavoro, un bel conto in banca e una bella famiglia. Il problema è che in Italia si ha paura delle novità, e non si ha il coraggio di affrontare il pregiudizio altrui”, dice. Il futuro? “Ho sempre lavorato, mi sono sempre fatto il mazzo. Forse lavorerò in campagna. O forse mi metterò a preparare il prossimo viaggio. Un’esperienza così ti cambia per sempre”.

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