Eccoci al terzo post, realizzato con Riccardo Facchini, per analizzare uno degli aspetti che ha maggiormente destato indignazione all’interno del dibattito sul Ttip, cioè di come nei trattati internazionali vi siano clausole che prevedono la possibilità, per le aziende multinazionali, di citare in giudizio gli Stati qualora questi adottino politiche o normative che ledano i loro interessi economici. Tali clausole, denominate Isds (Investor-State Dispute Settlement) prevedono che a decidere in maniera inappellabile siano tribunali arbitrali privati o istituiti da grandi organizzazioni internazionali. Proprio ad una di tali clausole, contenute nel trattato bilaterale sugli investimenti tra Svizzera ed Uruguay, ha fatto ricorso la grande azienda del tabacco, Philip Morris, quando, nel 2010, ha avviato in seno all’Icsid (International Centre for Settlement of Investment Disputes, istituzione della Banca Mondiale per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti diretti esteri) un procedimento arbitrale avverso all’Uruguay, a causa della sua legislazione anti-fumo.

Facciamo un passo indietro. Nel 2008, l’Uruguay approva una legge per il progressivo abbattimento del numero di fumatori, attraverso misure per il divieto di vendita di versioni di prodotto differenti da parte della stessa azienda produttrice, la copertura dell’80% della superficie dei pacchetti di sigarette con immagini e messaggi che mettono in guardia dai rischi del fumo, l’incremento delle accise sul tabacco, il divieto di pubblicizzare le sigarette sui media, il divieto di sponsorizzazione delle manifestazioni sportive da parte delle aziende del settore, il divieto di fumo in luoghi pubblici quali uffici, bar, ristoranti, discoteche e il lancio di una campagna di sensibilizzazione.

Philip Morris (che produce anche in Uruguay) accusa lo Stato uruguayano di aver compromesso il valore del proprio marchio e di provocare perdite nella filiale uruguayana, violando il trattato bilaterale sottoscritto nel 1988 con la Svizzera. Sebbene quest’ultimo preveda la possibilità dei paesi firmatari di impedire lo svolgimento, sul proprio territorio, di attività economiche che possano andare a detrimento della salute pubblica, l’azienda ritiene che alcune previsioni del trattato siano da interpretarsi nel senso che, una volta autorizzata l’attività economica di un determinato attore all’interno del proprio territorio, lo stato non possa più opporvisi.

In attesa di vedere come si concluderà la diatriba con l’Uruguay, lo stato australiano ha vinto, nel dicembre 2015, un analogo processo arbitrale con il medesimo gigante del tabacco. Anche qui, il contenzioso era un provvedimento normativo del 2011, con cui il legislatore ha previsto vincoli stringenti ai pacchetti di sigarette, tra cui restrizioni all’utilizzo dei marchi commerciali e ai colori da utilizzare e l’obbligo di riportare messaggi sui pericoli del fumo. Il ricorso della Philip Morris al tribunale arbitrale istituito in seno all’Icsid si è fondato, anche in questo caso, sull’asserito danno al proprio marchio, tutelato dagli articoli sulla proprietà intellettuale previsti dal trattato bilaterale sugli investimenti siglato tra Australia ed Hong Kong nel 1993.

Il tribunale arbitrale ha ritenuto tuttavia che, nel caso specifico, le misure assunte dallo stato australiano non siano assoggettabili alle previsioni di tale trattato, avendo Philip Morris effettuato una ristrutturazione societaria presumibilmente finalizzata a porre la propria attività sotto la tutela del trattato con Hong Kong quando era ormai già prevedibile l’emanazione della nuova legge. Da rilevarsi, dunque, che nella sentenza non sono state addotte considerazioni di carattere etico”, bensì soltanto la “malafede” della multinazionale del tabacco, una considerazione che potrebbe essere valida per un qualsiasi contratto tra privati. Non è dunque affatto scontato che la sentenza che riguarderà l’analogo caso dell’Uruguay vada nello stesso verso.

L’interesse di un paese a tutelare la salute pubblica dei propri cittadini contro l’interesse economico di un grande attore multinazionale. Il rischio è che il fatto che delle multinazionali possano citare in giudizio lo stato per una nuova normativa a tutela dei cittadini che lede i loro interessi, può in qualche misura rendere più “prudenti” i legislatori di tutto il mondo nell’adottare normative coraggiose. È importante che i trattati sugli investimenti diretti esteri, come il Ttip, prevedano in maniera chiara ed inequivocabile che la salute dei cittadini e la tutela dell’ambiente sono beni irrinunciabili, che dovranno essere anteposti a qualunque interesse particolare di attori economici transnazionali, senza alcuna limitazione. Ecco perché è fondamentale che la società civile abbia voce in capitolo nella definizione del testo del trattato in corso di negoziazione.

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