C’è chi l’ha preso bene, l’esito del voto amministrativo di domenica scorsa, e, con parole alate, pacate, prive di insulti, come piace a noi, piano piano, sottovoce, commenta la politica. E che bon ton, che classe. Che gentilezza. Altro che quegli altri, i barbari, i maleducati, i ‘Malpassotu’ della politica, i tontoloni, i burattini o ex burattini che si levano le orecchie d’asino. E basta poi con la politica e la rete trasformate in latrine pubbliche dove il primo che arriva scrive sulle pareti le sue porcherie! Che diamine, signora mia, un briciolo di contegno! Il filosofo Jacques Derrida, analizzando il significato della parola ‘canaglia’, scriveva che “la democrazia, la democratizzazione verranno sempre associati alla licenza, alla troppa-libertà, al libertinaggio, al liberalismo, addirittura alla perversione e alla delinquenza, alla colpa, alla trasgressione alla legge”.

Certo, i toni sono alti, ma come non ricordare che l’invito ad abbassarli ha, nella recente vita del parlamento repubblicano, coinciso con l’invito a non sollevare obiezioni, a non essere “divisivi”? Come se “partito” non fosse parola legata a doppio filo alla divisione, a cui deve l’etimologia: partito, cioè diviso. “Abbassate i toni, non siate divisivi” ha significato, nella Terza Repubblica in cui ci troviamo almeno dal 2011, non siate partigiani, poiché non si deve prendere parte, ma occorre uno spirito unitario in nome del paese (e chi non se la ricorda la retorica dei “salva Italia”?). E così le grandi intese, i partiti della nazione, l’apertura al centro, il governo con la destra, la maggioranza parlamentare con gli ex sodali di Silvio Berlusconi.

Amore per il paese, amore per l’ex avversario, amore ovunque. E sobrietà. A Palazzo Chigi si era insediato il “genero ideale”, quello che secondo la Süddeutsche Zeitung parlava poco e vestiva in modo banale, “sobrio”. Vero è che l’Italia degli ultimi due decenni ne ha viste di cotte e di crude: il dito medio alzato, il rutto assurto a comunicazione politica, le pizzette con lo champagne, la mortadella e la spigola, l’evocazione continua di porci, vajasse, mignotte e utilizzatori finali. Quando è arrivato Monti, tutti ci siamo sentiti un po’ inferiori, come sorpresi con le dita nel naso. Non urlava non strepitava e non teneva le segretarie sulle ginocchia, non diceva della Merkel che è una “culona inchiavabile”. Adesso ci sentiamo già più sollevati. In effetti la maleducazione è brutta a vedersi e a sentirsi, mettere i piedi nel piatto non è da ladies and gentlemen, bisogna darsi un tono, urbanizzarsi. E non scherzo: è tutto vero. Occorre mettersi la cravatta, avere rispetto per le istituzioni, adempiere al proprio compito con disciplina e onore.

Eppure c’è qualcosa di sinistro nel mantra del bon ton. La storica Luisa Tasca  in uno studio sui galatei dell’Ottocento scrive: “essi fornirono alle élites schemi per ordinare il corpo sociale secondo modelli più gerarchici che democratici, più classisti che abilitanti alla mobilità sociale, più disciplinanti che non fiduciosi nel libero protagonismo della società civile”. Il grande teorico russo della letteratura Michail Bachtin ricordava che “Per essere beneducati bisogna: non mettere i gomiti sulla tavola, camminare senza fare sporgere le scapole e senza ancheggiare, tenere in dentro il ventre, mangiare senza far rumore, non soffiare, non sbuffare, tenere la bocca chiusa, ecc., cioè tappare e limitare il corpo in ogni maniera, smussare i suoi spigoli”.

Bachtin esaltava il valore contestativo del carnevale alla Rabelais: il basso corporeo che serve ad annunciare un mondo nuovo, rovesciato, in cui le volpi dicono messa, gli asini cavalcano gli uomini e i buoi macellano i beccai, in cui la merda e i peti servono a descrivere un mondo capovolto che rinasce. Disciplinare quel mondo significava reprimere il corpo e con esso il valore rivoluzionario che esso aveva nei confronti del potere costituito (la Chiesa in primis, ma anche il potere politico). Ma la malacreanza la stabilisce sempre chi ha il potere di decidere. Dunque fate la riverenza, bambini. Fate l’inchino. E aspettate, asini, idiotine, fatine, burattini, co.co.pro., lupe della Garbatella, carucce, orecchie a sventola, gufi, rosiconi, paperini, improvvisati: aspettate che arrivi qualche scout mannaro con il lanciafiamme a darvi un’arrostita. Ma gentilmente, pacatamente, come piace a noi…

 

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