Si scrive Xylella, si legge Tap: il Consiglio dei ministri trascina la Regione Puglia di fronte alla Corte Costituzionale. Ha deliberato oggi l’impugnativa della legge varata l’11 aprile scorso, quella con la quale è stato introdotto il vincolo del mantenimento, per sette anni, della destinazione urbanistica dei suoli colpiti dal patogeno da quarantena. Tuttavia, la partita travalica la questione ulivi e sconfina nel braccio di ferro sul gasdotto che dall’Azerbaijan è pronto a sbarcare nel Salento. Perché, leggendo tra le righe ma neanche tanto, è evidente che la norma pugliese dichiarata “urgente” ponga degli ostacoli non da poco alla realizzazione dell’infrastruttura energetica, che non ha i requisiti richiesti per le opere risparmiate e ricade appieno nelle aree infette, corrispondenti all’intera provincia di Lecce.

Dunque, si ritorna allo scontro, ad appena 24 ore dalla sentenza con cui la Corte di Giustizia Ue di fatto ha sdoganato i tagli di massa delle piante, anche se non nell’immediato. Come comunicato ufficialmente dalla presidenza del Consiglio, “l’impugnativa è stata decisa in quanto la norma, istituendo un vincolo di natura urbanistica su determinate aree, viola l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, con riferimento alla materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, nonché il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione”. Inoltre, si ritiene lesiva degli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione, quelli che tutelano la libera iniziativa economica e la proprietà privata, oltre che dei principi comunitari in materia di libera circolazione delle persone e di stabilimento (articoli 43 e 49 del Trattato Ue), contraddicendo, così, anche l’articolo 117, primo comma, della Costituzione.

Il governatore pugliese Michele Emiliano da subito, invece, aveva messo le mani avanti: “Non incidiamo sulla pianificazione e quindi sulla potestà dei Comuni – aveva spiegato – e non introduciamo un vincolo urbanistico, ma una prescrizione limitata nel tempo che rientra tra le potestà legislative temporanee”. La legge è frutto di una lunga, tribolata, attività di mediazione interna innanzitutto al Pd: nasce dalla proposta del consigliere democratico Sergio Blasi e inizialmente estendeva il vincolo di destinazione urbanistica a 15 anni. E’ stata bocciata una prima volta dal Consiglio regionale, che l’ha approvata, modificata, il 31 marzo scorso.

Il contesto in cui è maturata è noto: da una parte una discoteca, dall’altra alcune abitazioni, più in là il progetto di un centro commerciale al posto degli ulivi. Il freno alla cementificazione è stato ritenuto necessario. La legge, però, proprio per tentare di svincolarsi dalla mannaia della Corte Costituzionale, ha un’appendice: fa salva “la realizzazione di opere pubbliche prive di alternativa localizzativa e necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente e per le quali sia stata svolta con esito positivo la valutazione di impatto ambientale (VIA) e ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) che l’opera autorizzata con procedura VIA abbia un livello di progettazione esecutiva e sia immediatamente cantierabile; b) che si sia adempiuto a tutte le prescrizioni rivenienti dal provvedimento VIA e che la relativa verifica di ottemperanza sia stata asseverata da tutti gli enti competenti; c) che l’opera oggetto di autorizzazione sia coerente con ulteriori opere tecnicamente connesse che dovessero risultare necessarie all’esercizio dell’opera stessa, nonché con il contesto produttivo territoriale”. Ecco perché il gasdotto Tap entra in gioco: perché è sì autorizzato ma ha una fase di progettazione definitiva; perché la verifica di ottemperanza alle prescrizioni è ancora abbondantemente in corso; perché il metanodotto Snam che dovrà connetterlo alla rete nazionale del gas, dopo un percorso di 55 chilometri, è tuttora in fase di valutazione.

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