Avete presente le distese di pannelli solari per produrre energia elettrica con cui, tra l’altro, caricare le auto a batteria che rappresentano la mobilità alternativa del futuro? Beh, lo scenario potrebbe non essere esattamente come lo si era pensato.

Almeno stando agli ultimi sviluppi della ricerca sulla fotosintesi realizzata dalle piante, che notoriamente utilizza la sovrabbondante anidride carbonica per produrre nutrimento ed ossigeno. Ebbene, un recente articolo su Science evidenzia infatti come lo studio sulla fotosintesi artificiale, realizzato attraverso foglie sintetiche, fornenisca come frutto del processo chimico proprio un carburante alternativo. Ottenuto dunque da fonti energetiche totalmente rinnovabili.

La “foglia artificiale”, proprio come quella in natura – anche se qua, si tratta di piastre a base metallica immerse in acqua in grandi vasi collegati da innumerevoli cablaggi – sfrutta come base di partenza l’anidride carbonica dall’atmosfera. L’idea è stata lanciata per la prima volta cinque anni fa dal ricercatore di Harvard Daniel Nocera, quando ancora era in carico dello studio presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), preceduto a sua volta da più di un decennio dalla ricerca di John Turner presso il National Renewable Energy Laboratory degli Stati Uniti (il cui processo precoce era tuttavia costoso e instabile).

Ma ora l’evoluzione – nonché la vera novità – sta proprio nell’adattamento del processo chimico realizzato dalla fotosintesi per trasformare anidride carbonica in una fonte rinnovabile di energia. Nel dettaglio, le speciali foglie sintetiche sono poste in acqua ed assorbono luce solare esattamente come le foglie in natura, quindi dividono la stessa acqua in due parti di idrogeno ed una di ossigeno, realizzando la prima fase della fotosintesi.

Impiegando in questa specifica evoluzione un fosfato di cobalto come catalizzatore, il processo sfrutta un microbo artificiale che assorbe CO2 creando PHB (Poli-β-idrossibutirrato, un polimero biodegradabile); a sua volta, il PHB può quindi essere utilizzato per creare basi di idrocarburi come alcol isobutilico o isopentano (già impiegato nell’industria petrolchimica).

In parole povere, bisogna immaginare l’intero progetto come il sistema per “pulire” l’atmosfera dalla CO2, in largo eccesso, trasformandola in un combustibile rinnovabile definitivo, anche se non è ancora chiaro se e quando questa tecnologia sarà in grado di uscire dai confini della pura ricerca di laboratorio per intraprendere la transizione verso applicazioni commerciali.

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