Se la “patacca” è troppo evidente, anche perché viene proposta ad un prezzo incommensurabilmente più basso rispetto al valore di un prodotto originale, non ci può essere contraffazione. Non si può acquistare un Daytona a 30 euro da un venditore abusivo in spiaggia, pensando che sia uscito dalla fabbrica dei Rolex, che lo vende a un prezzo fino a 30mila euro. La disparità qualitativa e di stima dell’oggetto è troppo marcata perché un cliente diventi vittima di una truffa commerciale. Ha comperato, consapevole di farlo, soltanto un finto Rolex e quindi il venditore non può essere ritenuto colpevole. A stabilirlo è stato il giudice monocratico veneziano Fabio Moretti, che ha assolto un ambulante pizzicato dai vigili urbani di Jesolo. L’assoluzione perché il fatto non sussiste ha messo fine a un processo a suo modo esemplare e significativo di come funzioni la giustizia in Italia.

Sarà anche lenta (in questo caso la sentenza è arrivata a sei anni dal fatto), ma la giustizia concentra energie istruttorie ragguardevoli anche in casi alquanto banali come una compravendita sotto l’ombrellone, oppure quando l’imputato è ormai irreperibile o l’entità materiale in gioco assolutamente modesta. In un processo in cui un semplice difensore d’ufficio di un imputato in contumacia ha dato scacco al pubblico ministero, convinto nonostante tutto della colpevolezza, sono stati scomodati addirittura quattro esperti di orologi, due in Svizzera, uno a Milano e uno a Venezia.

Il senegalese Diam Alioune, che all’epoca aveva 28 anni, era accusato di ricettazione e contraffazione di marchi perché trovato in possesso di una ventina di orologi falsi, tra cui un Mont Blanc, quattro Rolex, un Panerai e cinque Breitling. Proprio sulla qualità e il valore dei pezzi si è incentrato il processo. In aula sono comparsi un orologiaio veneziano esperto in Rolex e la responsabile di una società milanese che commercializza altre marche celebri come Mont Blanc, Panerai e Iwc. “Sono imitazioni grossolane, questi orologi sono prodotti con cinturini d’acciaio, non di pelle. Sulle casse non sono presenti i numeri di serie. I marchi sono un’imitazione che si vede a occhio nudo…”, hanno spiegato gli esperti. Delle vere patacche. Erano stati convocati anche due tecnici della svizzera Breitling, ma il giudice ha ritenuto di non insistere sulla loro presenza in aula. Sono bastate le loro relazioni scritte, secondo cui anche nel caso dei cronometri ci si trovava di fronte a copie pacchiane.

Il pubblico ministero ha comunque insistito chiedendo la condanna a 8 mesi dell’imputato. Coriacea la difesa dell’avvocato d’ufficio Fabiana Danesin. Ha sostenuto che un orologio di quel valore non si compera in spiaggia, da un africano con il borsone, ma in una gioielleria. Ha poi valorizzato tutti i difetti più evidenti delle copie per dimostrare che i patacconi non possono essere considerate delle contraffazioni. Tanto più non può esserci ricettazione della merce.

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