Per Angela Merkel, è stato forse il canto del cigno: la rivista Forbes l’ha appena scelta di nuovo come la donna più potente al Mondo, davanti a Hillary Clinton e alla presidente della Fed Janet Yellen. Ma se l’8 Novembre l’ex first lady diventerà il 45° presidente degli Stati Uniti, quel posto sarà preso per i prossimi quattro anni almeno. E la Merkel, se sarà ancora cancelliera dopo il voto del settembre 2017, dovrà accontentarsi del secondo posto.

La possibilità che Hillary diventi presidente s’è rafforzata nelle ultime ore, dopo votazioni minori alle Isole Vergini e a Porto Rico. Con le vittorie lì ottenute, l’ex first lady avrebbe ormai raggiunto e superato quota 2.383, la maggioranza assoluta dei delegati alla convention democratica, e si sarebbe già assicurata la nomination. Otto anni fa, fu il giorno della resa. Oggi, è il giorno della vittoria: il 7 giugno 2008, la Clinton abbandonava la corsa alla nomination e dava il proprio sostegno all’allora senatore Barack Obama. “Credo che fosse la cosa giusta da fare per unire il partito”, rammenta ora, invitando inutilmente Bernie Sanders, il suo rivale, a fare altrettanto.

Il calcolo, non ufficiale, è della Ap. La notizia è arrivata in coincidenza con l’ultimo Super-Martedì di queste primarie: oggi si vota in California, lo Stato più popoloso, che assegna da solo 546 delegati, e pure in New Jersey, New Mexico, Montana e nei due Dakota – complessivamente, oltre 800 i delegati in palio -. La notizia, che vanifica o comunque riduce l’impatto delle consultazioni odierne, suscita reazioni opposte nei due campi democratici. Hillary parla di “un momento storico senza precedenti”, perché per la prima volta nell’Election Day una donna sarà in lizza per la presidenza degli Stati Uniti. Sanders, stizzito, contesta i media e le le regole: per lui, i Super-Delegati, cioè i notabili del partito che non sono assegnati tramite voto – e che nella stragrande maggioranza sono pro Clinton -, devono essere conteggiati solo alla convention, potendo cambiare campo fino all’ultimo istante.

Fra i repubblicani, il problema non si pone: i Super-Delegati non ci sono e Donald Trump è rimasto senza avversari e ha già conquistato la maggioranza assoluta. Nelle ultime ore, secondo il Wall Street Journal, la squadra del senatore del Vermont s’è divisa: ci sono i ‘sanderistas’, i guerriglieri della nomination, che vogliono battersi fino alla convention; e le colombe, pronte ad ammettere la sconfitta e a ricreare l’unità del partito dietro l’ex first lady.

Sanders sembra stare con i suoi ‘ultras’ e prospetta una convention democratica “aperta”. Anche se la Clinton è avanti al senatore anche come candidati eletti di circa 300: oltre 1800 a circa 1500. Certo che se oggi dovesse subire sconfitte in serie, l’ex first lady avrebbe la nomination, ma sarebbe fortemente indebolita. In questa ipotesi, ancora il WSJ, nel fine settimana, prospettava un ribaltone: fuori Hillary e Sanders, elisisi a vicenda; e dentro un ‘usato sicuro’, come John Kerry, già candidato nel 2004, o Joe Biden, il vice-presidente. Fanta-politica, probabilmente, a questo punto.
L’esito del voto in California è incerto, nonostante che, dopo il governatore ‘liberal’ Jerry Brown, anche il Los Angeles Times si sia pubblicamente schierato con Hillary, “più preparata” e che ha “maggiori possibilità di Sanders di sconfiggere” il candidato repubblicano. Per il New York Times, il presidente Barack Obama si prepara ad appoggiare ufficialmente Hillary: lo annuncerà in settimana e inizierà ad aiutarla nella corsa. Il presidente proverà a sciogliere i dubbi degli elettori che hanno diffidenza per l’ex first lady ed a farle conquistare i sostenitori di Sanders. Lo scorso settimana, Obama ha parlato al senatore che si autodefinisce ‘socialista’: uno scambio d’opinioni nel quadro degli sforzi per unificare il partito democratico.

Ancora ieri, in una conferenza stampa, Sanders ha detto: “E’ imperativo sconfiggere Trump”, perché è “incredibile” che nell‘America del 2016 ci sia un candidato che corre per la presidenza “all’insegna dell’intolleranza, insultando messicani, ispanici, musulmani, afroamericani e donne”. Ma alla domanda se sia disposto a dare il suo sostegno alla Clinton nella convention, il senatore ha risposto di essere concentrato sul vincere in California e ha sostenuto, citando i sondaggi, di essere lui il “candidato più forte, il migliore per sconfiggere Trump”. “Se l’affluenza sarà alta vinceremo. Se l’affluenza sarà bassa; potremmo perdere. Venite a votare, segniamo il record di affluenza per la California”.

Lo incita a tenere duro, ma non lo aiuta certo presso l’opinione pubblica, il presidente venezuelano Nicolas Maduro, che definisce Sanders “il nostro amico rivoluzionario“: se il processo elettorale Usa fosse “libero” e “giusto”, il senatore del Vermont andrebbe alla Casa Bianca; ma il sistema “è arcaico, vecchio di 200 anni”. Però produce novità in serie: prima un nero, poi magari una donna alla Casa Bianca; o un miliardario esuberante politico improvvisato.

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