Se mai è esistito, il partito della nazione è già in bancarotta: esiste in Parlamento, ma è atrofizzato nelle urne. Per dirla meglio: Denis Verdini non porta un voto. Se al Senato fa il bello e il cattivo tempo, se nelle Aule di Roma garantisce numero legale e margini di garanzia per i voti di fiducia, se nei Palazzi è ascoltatissimo, ai seggi il garante del Patto del Nazareno non se lo fila nessuno. Era la prima volta che Ala e i suoi fratelli si presentavano alle elezioni, è stato un test: il risultato è che in nessun Comune è stato determinante e il peso elettorale è più vicino allo zero che non al 5. Vincenzo D’Anna, il biologo anti-Saviano, anema e core dei verdiniani, aveva tentato di fare l’illusionista: “Il nostro voto a Napoli vale doppio, a Napoli abbiamo un retroterra di consensi. Possiamo dare una mano per superare il gap con Lettieri”. Ora quelle parole sono sepolte dalle risate di tutto il golfo. La Valente ci aveva creduto, si era fatta fotografare con l’ex braccio destro di Berlusconi, aveva provato a camuffare il volto dei berlusconiani: “Ala è uno dei partiti che sostiene la mia coalizione. Non sono i voti dei Verdini, sono i voti di Ala”. Non si può sapere se il “mostro di Loch Ness” – come lo chiamano i renziani – ha tirato giù anche la candidata renziana. E’ certo invece che i voti raccolti da Ala sono stati 5248 su 393mila. Si tratta della bellezza dell’1,43 per cento e menomale che c’era l’algoritmo del senatore D’Anna, altrimenti sarebbero stati la metà. Ora la Valente si batte il petto: “Le alleanze sono state fatte guardando al profilo e al programma ma il processo andava spiegato meglio agli elettori e si è rivelata una scelta non positiva per noi visto il risultato. Le scelte sulle alleanze potevano essere sicuramente gestite meglio”.

Ci credevano anche a Cosenza: dopo la rinuncia di Lucio Presta, il Pd aveva puntato su Carlo Guccione. “Siamo in gara per vincere ed abbiamo le liste e una squadra che sono in grado di ottenere la vittoria al primo turno” aveva detto, forte anche del sostegno degli ex berlusconiani che hanno trovato la nuova “strada del riformismo liberale” nel Pd renziano. Nella città calabrese avevano fatto le cose in grande, presentandosi in due liste civiche, senza il nome Ala ma con il passaggio di Verdini in città. Una lista era “Prima Cosenza” che era stata ispirata dall’ex consigliere regionale di Forza Italia Ennio Morrone. L’altra era “Oltre i colori” che si riferisce all’esponente verdiniano Giacomo Mancini, nipote di quell’altro Giacomo Mancini, ministro socialista di cinquant’anni fa. Il risultato, in ogni caso, è un disastro: Prima Cosenza non supera il 2,77 per cento, con 1120 voti effettivi, Oltre i colori fa perfino peggio con l’1,75 per cento e 708 voti. E Guccione? Dato quasi per disperso: aver mancato il ballottaggio è solo il problema minore, visto che non ha superato nemmeno il 20 per cento.

A Caserta, invece, il candidato democratico Carlo Marino (peraltro in origine forzista) si presenterà al ballottaggio del 19 giugno da candidato favorito, visto che ha messo insieme il 45 per cento dei voti. Marino è stato spinto anche dalle cosiddette Energie casertane, la lista civica espressione dei verdiniani: totale voti 2506 (su 42mila e fischia), percentuale del 5,93. A Salerno, invece, il discorso si rovescia. Era alla luce del sole il sostegno di Eva Longo, senatrice prima ultraberlusconiana e anti-De Luca e ora arcirenziana. Ma è difficile dare un peso specifico degno di nota ad Ala che aveva fatto inserire due suoi candidati dentro Campania Libera, una delle tante liste a sostegno del sindaco eletto Vincenzo Napoli, il vice-De Luca che ha trionfato con le stesse percentuali del capo. Campania Libera aveva già fatto vincere le elezioni regionali a Vincenzo De Luca. Fu ideata, un anno fa, da Tommaso Barbato, ex senatore dell’Udeur, ex braccio destro di Mastella (ripartito come un siluro come candidato sindaco a Benevento). Di Barbato molti ricordano non tanto le sue iniziative politiche, ma il fatto che espresse il suo disappunto sputando – tra un seggio del Senato e l’altro – al collega di partito Nuccio Cusumano, colpevole di aver votato la fiducia al governo Prodi (quando il governo Prodi peraltro cadde).

Non si riesce a ricostruire dietro quali nomi di liste civiche si nascondessero i verdiniani a Santa Maria Capua Vetere o a Battipaglia. Di sicuro l’ex truppa forzista si era impegnata anche in quei Comuni, dove per trovare i candidati del Pd serve il binocolo. Nel paese in provincia di Caserta, città natale di D’Anna, Umberto Pappadia ha racimolato la miseria del 13 per cento. Nella città in provincia di Salerno, diventata capitale degli impresentabili, il democratico Enrico Lanaro è arrivato non secondo, non terzo, ma quarto.

Ala ha il suo cuore pulsante (ma non troppo, dicono le urne) in Campania, dove il Pd le ha spalancato le porte della coalizione. A Roma, invece, i verdiniani avevano gettato nel panico Roberto Giachetti. La lista civica Più Roma – che lo sostiene – poteva contare non solo sulla spinta dell’ex ministro Beppe Fioroni, ma anche su Maria Fida Moro, figlia di. Ma tra i candidati c’era anche il cardiologo Francesco Romeo che aveva accettato di partecipare a un evento elettorale con tre esponenti di Ala: l’ex ministro Saverio Romano, il deputato Ignazio Abrignani e l’ex onorevole centrista Pino Galati, regista di tutte le alleanze dei verdiniani al sud. Quando Giachetti l’ha scoperto, racconta il Corriere, è andato su tutte le furie: “Non c’è alcun accordo con Verdini, nessuna lista presentata. Appoggiano solo uno dei tanti candidati”. Lo stesso Romeo sempre sui giornali si era risentito: “Io non sono di nessuno: né di Verdini né di Giachetti. Sono Romeo e basta. Guardi, ho un consenso che arriva da tutte le parti”. Da quelle “parti” sono arrivate 336 preferenze. La lista Più Roma ha preso l’1,47, 17192 voti su oltre un milione di schede valide.

Poi c’è il caso di Grosseto, unico capoluogo toscano al voto. A spingere il candidato sindaco del Pd Lorenzo Mascagni tra gli altri c’era anche la lista Passione per Grosseto, ideata da Gianni Lamioni, ex presidente della Camera di commercio, ma soprattutto amico di Verdini. Al tempo delle Regionali del 2015, due mesi prima di lasciare Forza Italia, Verdini voleva lui – Lamioni – come candidato presidente della Toscana per l’intero centrodestra. Poi tutto finì in rissa e l’imprenditore grossetano mise insieme solo l’1,27. A Grosseto la sua lista non è andata molto meglio: 3,97 per cento, 1590 voti. E il candidato del Pd che – quasi storico – deve rincorrere quello del centrodestra.

C’è un posto, però, in cui Ala è stata determinante. A Gragnano di Napoli, infatti, le 493 preferenze raccolte dall’Alleanza Liberalpopolare per le Autonomie sono state determinanti per far conquistare il ballottaggio a Patrizio Mascolo. Ma Mascolo non era il candidato del Pd: quella del Pd, che si chiama Silvana Somma, è arrivata terza, per 23 voti.

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