Si chiama Angelina Popolvski la ragazza di 14 anni che a marzo ha lanciato una petizione per chiedere alla sezione australiana di Aldi, catena internazionale di supermercati, di cessare la vendita di uova da galline allevate in gabbia. Ha deciso di impegnarsi in questa battaglia dopo aver visto dei filmati e scoperto come vengono allevate le galline negli allevamenti in batteria.

In breve tempo la petizione di Angelina ha raccolto 97.000 firme, trovato spazio su diversi media e sostegno da parte dei clienti di Aldi. Dopo iniziali tentativi di sminuire la cosa, la dirigenza dell’azienda che conta più di 400 punti vendita in Australia, ha risposto in questi giorni accettando la richiesta: “Abbiamo ascoltato i nostri clienti e stiamo lavorando con i fornitori per spostarci verso la vendita di uova 100% non da gabbia entro il 2025”.

Felicissima la ragazza ha commentato scrivendo sui social media: “Questa vittoria incredibile mostra che se rimaniamo decisi, siamo creativi, siamo fermi, non molliamo e, ancor più importante, rimaniamo sempre gentili, non c’è limite a ciò che possiamo raggiungere per gli animali”.

Ma qualcuno è meno felice. Per esempio la Australian Egg Corporation Ltd (Aecl), associazione di categoria dei produttori di uova, secondo la quale la scelta di Aldi “mostra una fondamentale misconoscenza dei sistemi di allevamento in gabbia e del loro impatto sul benessere delle galline ed è uno schiaffo in faccia alla richiesta dei consumatori”. A detta dei produttori di uova questa politica aziendale è infatti autoritaria: “è francamente assurdo che Aldi stia limitando il diritto di scelta dei propri clienti”.

Anche se a noi non risulta sia mai stata una scelta consapevole quella di acquistare uova da galline in gabbia, quanto una mera questione di prezzi, onnipresenza sul mercato e di mancanza di informazione. In Australia al momento ci sono 11 milioni di galline ancora allevate in gabbie del tutto simili a quelle utilizzate in Italia . I motivi per cui Aldi deve aspettare 10 anni per potersi rifornire completamente da allevamenti a terra sono strutturali dell’industria, incapace ancora di affrontare una simile domanda, che necessita di grossi cambiamenti negli allevamenti.

Per questo la Aecl non è affatto felice e teme che da questo precedente si generi un effetto a catena simile a quello già in atto negli Stati Uniti, a cui aveva già aderito anche la stessa ALDI. Un effetto a catena che, pur non liberando le galline dalla prigionia e dallo sfruttamento, creerà un terremoto interno al settore uova e porterà necessariamente ad un aumento dei prezzi e ad una probabile diminuzione nei consumi.

La storia di Angelina ha raggiunto milioni di australiani e fatto il giro del mondo, perché a convincere una grande catena di punti vendita a fare una scelta etica stavolta non è stata una campagna di note o grandi associazioni, ma la tenacia di una giovane ragazza (anche se a onor del vero va detto che ha avuto l’appoggio dell’associazione Animals Australia). Una storia che ci insegna ancora una volta che credere in qualcosa e lottare per realizzarlo può solo portare buoni risultati, a qualunque età.

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