Passione Kieslowski. Una rassegna che celebra l’intera filmografia di uno di più importanti cineasti del novecento come il polacco Krzysztof Kieslowski non poteva che chiamarsi così. Evocare quella passione febbrile, angosciosa e suprema che ogni sua pellicola – allora nei tardi ottanta/inizio novanta si parlava ancora di “pizze”- celava e disvelava ad ogni visione è l’omaggio più sincero e diretto che gli si potesse fare, proprio a 20 anni dalla sua scomparsa (20 marzo 1996).

Una retrospettiva completa, la più ricca e dettagliata mai avvenuta in Italia, si terrà fino al 12 giugno 2016 al Palazzo delle Esposizioni di Roma con la proiezione gratuita – basta prenotare il posto fino a due ore prima dall’orario d’inizio dei film – di una quarantina di titoli, tra corti, lunghi e documentari, girati dal regista di Varsavia in 25 anni di carriera.

Kieslowski è il ricordo piacevole della scoperta, la naturalezza di uno sguardo, il concetto di autore cinematografico in tutta la sua essenzialità storica e poetica. Ogni cinefilo del secolo scorso che si rispetti ha negli occhi e nell’anima anche solo una sequenza dai suoi film. E non sono i dialoghi a riemergere come refrain ma singole inquadrature, istantanee di una rappresentazione apparentemente semplice, ma incredibilmente stratificata, di dilemmi morali, incontri fortuiti e incombenti tra esseri umani oscillanti tra razionalità e caso.

Chi scrive ne rammenta eternamente come un mantra almeno un paio: il primo totale del lago ghiacciato con un buco al centro in Decalogo 1, una sorta di fendente al fianco che toglie il fiato e fa barcollare ogni laica certezza sul mondo; il dettaglio della mano di Juliette Binoche sfregata in corsa contro un muro ruvido e bugnoso in Film Blu, come per sentire ancora una volta lo sprofondo di un dolore che non potrà mai passare. Emerso dall’oscurità dello squagliarsi della “cortina di ferro” sovietica proprio con il Decalogo, dieci film di un’ora l’uno ispirati ai dieci comandamenti, Kieslowski ebbe una fiammata di popolarità d’essai europea e mondiale proprio tra il 1988 e il 1994, quando morì per un infarto a soli 55 anni. Chi non ricorda la trilogia di Film Blu, Film Bianco, Film Rosso? Chi è che in quegli anni di riflusso e di emergenza cinefila non confrontava idee e giudizi tra le tre opere e le tre istanze illuministiche di libertà, uguaglianza e fraternità? Kieslowski, dapprima documentarista parecchio inviso al potere, poi ancora con almeno tre titoli come Il cineamatore, Destino cieco e Senza Fine, diede il via ad un circuito di osservazione, analisi, scavo e riemersione nell’anima silente e tormentata dei protagonisti delle sue “normali” storie.

In Senza fine, dramma intimo, spirituale e vivo, su una donna che dopo diversi tentativi di allontanamento dal ricordo, compie un gesto estremo per ricongiungersi al marito morto, Kieslowski inizia la collaborazione con due pilastri del suo cinema: l’avvocato Krzysztof Piesiewicz per la sceneggiatura e Zbigniew Preisner come direttore delle musiche. “Era un fine osservatore, usava la macchina da presa come un microscopio”, ha spiegato al FQMagazine, Irene Jacob, protagonista di La doppia vita di Veronica e Film Rosso, giunta a Roma per inaugurare la rassegna. “Il suo era uno sguardo denso che entrava nel mistero e nell’intimità di ognuno, il suo era un cinema dell’interiorità”. Tutti questi titoli, compresi inediti e restauri dei lavori meno conosciuti degli anni settanta, si potranno vedere per ben due settimane al Palazzo delle Esposizioni. L’iniziativa organizzata dall’Istituto Polacco di Roma in collaborazione con Filmoteka Narodowa, Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, Associazione CortoItaliaCinema, La Farfalla sul Mirino, e Polish Film Institute, è assolutamente “clamorosa”. Il cinema potente e sussurrato di Kieslowski non morirà mai.

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